Il giorno dopo l’appello di monsignor Galantino ad aprire spazi di confronto con «la gente che vive di quell’acqua e in quei territori» il dibattito sulle trivelle si rinfocola. A partire dalle piazze, dove gli 'oil men' di Greenpeace hanno organizzato ieri un flash mob che ha toccato 22 città, rilanciando le accuse contro le piattaforme e provocando la replica dell’Eni, secondo il quale le attività di produzione di gas naturale offshore «sono svolte nel pieno rispetto dell’ecosistema marino» e i controlli ambientali attestano che «non vi sono criticità». Polemiche anche nel Pd, con Chiti che chiede di non strumentalizzare l’endorsement di Prodi per il no e Debora Serracchiani (messa sulla graticola per un vecchio tweet anti-trivelle) che invece si schiera contro il referendum. Idem Casini: «L’Italia non si faccia male con un sì».Nella Chiesa si cerca di riportare la discussione alla sostanza dei problemi: l’arcivescovo di Pescara-Penne, Tommaso Valentinetti, dichiarando a
Radio In-Bluche «il mare Adriatico è molto piccolo» e «nessuno può escludere» che «possa succedere un incidente», chiede di «superare la logica della sola dipendenza dagli idrocarburi», mentre l’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro parla di un «ragionevole fondamento al Sì al referendum del 17 aprile», perché «le ferite della nostra terra sono già molte e non devono aumentare». Il presidente della commissione per la pastorale sociale della Cei sottolinea che la sua è una posizione personale, dal momento che il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino ha detto chiaramente che «non c’è un sì o un no da parte dei vescovi». «La Conferenza dei vescovi italiani – spiega Santoro – ha concordato sull’impor- tanza che la tematica delle trivelle – ossia se consentire o meno agli impianti già esistenti entro la fascia costiera di continuare la coltivazione di petrolio e metano fino all’esaurimento del giacimento, anche oltre la scadenza della concessioni – sia dibattuta nelle comunità per favorirne una soluzione appropriata alla luce dell’enciclica 'Laudato si’' di papa Francesco». Il richiamo del presule è tutt’altro che formale: al punto 183, laddove si parla dell’impatto ambientale delle opere infastrutturali o industriali, papa Francesco sostiene che «nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l’interesse economico immediato». Se il Papa chiede di «abbandonare l’idea di “interventi” sull’ambiente, per dar luogo a politiche pensate e dibattute da tutte le parti interessate» e sottolinea come «la partecipazione richieda che tutti siano adeguatamente informati sui diversi aspetti e sui vari rischi e possibilità, e non si riduce alla decisione iniziale su un progetto, ma implica anche azioni di controllo o monitoraggio costante», Santoro definisce le piattaforme al largo delle coste dell’Adriatico e dello Ionio «un’ulteriore aggressione a una realtà già fragile e vanno a intaccare la vocazione legata al mare, al turismo, alla pesca, all’agricoltura e all’artigianato di un territorio già ferito. La tecnologia non può non tenere conto delle conseguenze di un suo abuso che non contempli le possibili ripercussioni ». L’arcivescovo tarantino ricorda che «gli equilibri dell’ecosistema dei mari sono fragili e sono prospicienti territori che con fatica tentano di porre riparo ai danni che sono derivati da una discutibile e unilaterale gestione delle risorse». Preoccupazioni evidenziate già nel 2012 dai vescovi pugliesi nella nota pastorale 'Cristiani nel mondo, testimoni di speranza': «Niente di più opportuno di una approfondita discussione nelle nostre comunità alla Luce dalla 'Laudato Si’', come auspica la Cei», conclude Santoro.