mercoledì 1 giugno 2011
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Sono quattro i quesiti oggetto del referendum del 12 e 13 giugno: due sull' acqua, uno sul ritorno al nucleare e l'ultimo sul legittimo impedimento a comparire in aula di giustizia per chi è impegnato in attività di governo. Qui di seguito, una scheda per capire e farsi un'opinione.LE DUE DOMANDE SULL'ACQUAIl primo - «Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione» - investe i servizi pubblici che vengono erogati localmente e che hanno un rilievo economico. Si chiede l’abrogazione dell’articolo 23-bis della legge 133/08 che attiene la gestione dei servizi pubblici locali di rilievo economico da parte della amministrazioni pubbliche. Oggi l’articolo 23-bis modificato nel 2009 dal decreto Ronchi (L. 166/09), stabilisce che i servizi pubblici devono essere affidati ai privati, fatte salve alcune eccezioni che prevedono una gestione in proprio, attraverso una società pubblica. Insomma, viene prima il privato. Solo in alcuni casi l’ente potrà costituire una società mista pubblico privato con quest’ultimo che dovrà detenere almeno il 40% del capitale. Se l’articolo 23-bis venisse abrogato (vittoria del «sì»), si applicherebbe una norma molto più permissiva per la costituzione di società interamente pubbliche.Il secondo quesito - «Determinazione delle tariffe del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma» - riguarda le tariffe dell’acqua e prevede l’abrogazione della «remunerazione del capitale investito». Nell’intento dei promotori il prezzo pubblico non contemplerà più la ricompensa al privato per il capitale che investe. Dunque, dalla tariffa per l’erogazione dell’acqua scomparirebbe la remunerazione per la somma investita dal gestore. SI'«Fermare la privatizzazione dell’acqua» e «fuori i profitti dall’acqua». Questi gli slogan dei promotori dei «sì» nei due referendum che riguardano anche l’acqua. Con il primo quesito, spiegano, «si vogliono mettere definitivamente sul mercato le gestioni dei 64 Ato (Ambiti territoriali ottimali) su 92 che o non hanno ancora proceduto ad affidamento, o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico. Queste ultime infatti cesseranno entro dicembre 2011, o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%». Abrogare la norma, sostiene il comitato dei "sì", significa «contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese». Con il secondo quesito si vuole «abrogare la parte di normativa che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio».NO Su quattro punti il comitato per il «no» ai referendum sull’acqua, punta il dito contro «la falsa demagogia dei proponenti» che lanciano «una campagna contro la minaccia della "privatizzazione dell’acqua" che semplicemente non esiste». Ecco i motivi del Comitato "Acqua Libera Tutti". Primo: «Non è vero che il decreto Ronchi ha privatizzato l’acqua», perché «l’acqua - come infrastrutture e reti - resterà bene pubblico». Il vero punto di innovazione, sostiene il Comitato per il no, «è la trasparenza nell’individuazione del gestore». Secondo: «È falso che le tariffe sono aumentate in modo indiscriminato». Qui «le tariffe restano molto basse rispetto agli altri Paesi Ue: ciò è dovuto ai pochi investimenti degli enti gestori, prevalentemente pubblici». Terzo: «È falso che l’acqua diventerà un bene non accessibile a tutti. Già adesso gli Ambiti territoriali ottimali prevedono tariffe agevolate» a «garanzia di tutti». Quarto: «È falso che le aziende pubbliche virtuose perderanno gli affidamenti». Le eventuali società affidatarie verrebbero scelte solo se hanno «chiuso il bilancio in attivo e applicato una tariffa inferiore alla media del settore».IL QUESITO SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTOHa diviso radicalmente il fronte dei partiti ed è stata oggetto di accese polemiche tra la politica e la magistratura. La legge 51 del 7 aprile 2010 sul “legittimo impedimento” del Presidente del Consiglio e dei ministri a comparire in udienza penale, ha fin da subito acceso lo scontro, in Parlamento e nelle piazze, culminato nella raccolta di firme per la sua abrogazione. Motivo del contendere il fatto che, secondo i detrattori della legge, la norma sarebbe stata approvata per bloccare i processi che vedono imputato il Presidente del Consiglio, che potrebbe opporre legittimo impedimento a partecipare alle udienze in quanto impegnato in attività istituzionali di governo. Di per sé, il principio del legittimo impedimento è già sancito dal codice, che prevede il rinvio del processo quando un imputato è impossibilitato a partecipare. E questo per consentire all’imputato stesso di potersi difendere. I proponenti della legge hanno, in sostanza, esteso questo concetto, introducendo il criterio di impedimento che consisterebbe nel «concomitante esercizio di una o più attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti» e «delle relative attività preparatorie e consequenziali nonché di ogni attività coessenziale alle funzioni di governo». In pratica, tutte le funzioni legate alla carica di Capo del governo, al quale era assegnato anche il potere di attestare il proprio impedimento. La Corte Costituzionale ha modificato questa parte della legge, lasciando al giudice il potere di certificare il legittimo impedimento.SI'I promotori del referendum per abrogare la legge sul legittimo impedimento chiedono, in sostanza, che il Presidente del Consiglio e i ministri, qualora imputati in processo penale, si presentino in udienza in ogni caso non potendo anteporre i propri impegni istituzionali di governo allo svolgimento del processo. «La legge è uguale per tutti», ricordano i fautori del “sì”, aggiungendo che «se chi governa un Paese è accusato di un crimine ha il diritto e il dovere di difendersi. Ma nel processo non dal processo». Inoltre, insiste chi ha contribuito a raccogliere le firme per far svolgere il referendum, «assumere cariche pubbliche è una responsabilità che impone comportamenti trasparenti, non un privilegio che regala l’impunità ai potenti». E ancora: «Se al governo c’è una persona poco trasparente, che non fa gli interessi dei cittadini, i cittadini stessi devono saperlo subito, non dopo che ha lasciato il governo, quando il danno è già stato fatto». Insomma, per chi si propone di abrogare questa norma, tutti questi sono elementi sufficienti a dimostrare «la necessità di votare sì».NOChi si propone di mantenere in vigore l’attuale legge, dovrà votare «no». Se vincerà questa posizione, rimarrà in vigore quel che resta della normativa sul legittimo impedimento, dopo l’intervento della Corte costituzionale, che ha riconsegnato al giudice il potere di decidere se l’impegno opposto dal Presidente del Consiglio o dai ministri per giustificare la non partecipazione all’udienza sia realmente legittimo impedimento. In ogni caso, dunque, l’ultima parola spetterà comunque al giudice e non al politico che, come detto, non potrà “autocertificare” il proprio impedimento. Contro l’abrogazione della legge sul legittimo impedimento si sono pronunciati i partiti della coalizione di governo, che l’hanno approvata proprio per garantire la necessaria «serenità nel governare» a chi è designato a una carica così importante e non deve esserne distolto dalla partecipazione a processi. A questo riguardo, l’articolo 2 della legge recita testualmente: «Consentire al presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla costituzione e dalla legge».IL QUESITO SUL NUCLEAREIl quesito recita così: «Volete che siano abrogati i commi 1 e 8 dell'articolo 5 del dl 31/03/2011 n.34 convertito con modificazioni dalla legge 26/05/2011 n.75?». Il titolo del quesito, riformulato dalla Cassazione alla luce delle norme introdotte col decreto Omnibus, sarà: «Abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare».  
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