mercoledì 15 maggio 2024
Il presidente Chelli: prospettive moderatamente positive. L'occupazione corre, le retribuzioni no. Crollo delle nascite mentre torna ad aumentare l'immigrazione
L'Italia cresce più della media Ue, ma è anche più povera

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Dopo un ventennio di crescita dello zerovirgola e il tonfo del Covid, l’Italia mostra segnali di ripresa e di vitalità economica ma nel Paese le disuguaglianze e la polarizzazione economica, sociale e territoriale tendono ad accentuarsi, e la povertà si allarga non solo in senso materiale ma anche educativo, prefigurando già ora le povertà di domani. Si registra una ripresa degli investimenti, il numero degli occupati è in forte crescita, ma la produttività per ora resta bassa, i salari non reggono il passo dell’inflazione e si allarga l’area del lavoro povero. E mentre si conferma il declino demografico con il record negativo di nascite, si assiste a una ripresa dell’immigrazione, che porta vicino allo zero un saldo della popolazione che nel bilancio puramente naturale sarebbe in forte deficit. Difficile riassumere in poche righe le 240 pagine del Rapporto Istat Italia 2024, presentato questa mattina alla Camera, un volume denso di cifre grafici e tabelle, se non attraverso l’immagine di un Paese che affronta una fase di crescita incerta e diseguale negli esiti per i suoi cittadini.

La crescita debole

Nel 2023 il Pil italiano è salito dello 0,9% dopo il maxi-rimbalzo del dopo covid, un dato leggermente superiore alla media Ue. A confronto con l’ultimo trimestre del 2019, alla fine dello scorso anno il livello del Pil era superiore del 4,2% in Italia, del 2,9 in Spagna, dell’1,9 in Francia e solo dello 0,1% in Germania . l dati sul primo trimestre 2024 indicano che la crescita già acquista per quest’anno allo 0,5%. Il nostro Paese dunque non è più in coda – come è stato per molti anni - nel confronto con i nostri maggiori vicini europei. Nel complesso le prospettive di crescita restano moderatamente positive, ha affermato il presidente dell'Istat, Francesco Maria Chelli, presentando il rapporto. Il recupero del Pil dopo la pandemia ha riguardato soprattutto il Nord del Paese, mentre il Centro Italia ha perso posizioni e il Sud ha accentuato il suo ritardo. A spingere l’economia nella fase post-pandemica sono stati soprattutto la ripresa degli investimenti, il settore delle costruzioni (superbonus) e il buon andamento del turismo mentre la spesa delle famiglie dopo una fase di accelerazione è tornata a calare alla fine dello scorso anno, frenata dalla riduzione del potere d’acquisto delle retribuzioni. L’occupazione ha mostrato una dinamica più contenuta rispetto a quella della Spagna, ma più vivace rispetto a Francia e Germania: tra l’inizio del 21 e la fine del 23 il numero degli occupati è salito di quasi 10 punti percentuali. Il tasso di occupazione dell’Italia (61,5%) continua a essere tuttavia larga mente inferiore rispetto a Germania (77,4), Francia (68,5) e Spagna (65,5).

Retribuzioni in affanno

Nel triennio 2021-2023, le retribuzioni contrattuali orarie sono cresciute a un ritmo decisamente inferiore a quello osservato per i prezzi, con una differenza particolarmente marcata nel 2022 (7,6%): tra gennaio 2021 e dicembre 2023 i prezzi al consumo sono complessivamente aumentati del 17,3%, mentre i salari contrattuali sono cresciuti del 4,7%. Negli ultimi mesi, grazie alla forte caduta dell’inflazione, la tendenza sembra invertita. Ma molti comparti restano in attesa del rinnovo del contratto: a marzo 2024 la quota di dipendenti con contratto scaduto era del 34,9%. Le forti spinte inflative hanno comportato una riduzione del reddito disponibile delle famiglie, nonostante le misure di sostegno degli anni passati, portando nel complesso a una perdita dell’1,5% rispetto al 2019. A fronte dell’erosione del potere di acquisto, le famiglie hanno cercato di mantenere gli standard di consumo precedenti attingendo ai risparmi, la cui quota è scesa al 6,3% del 2023, contro l’8,1% del 2019.

L’inflazione non è uguale per tutti

L’aumento dei prezzi infatti ha colpito in misura maggiore le fasce di popolazione meno abbienti, sulla cui spesa hanno un peso maggiore i beni energetici e alimentari, per i quali la crescita dei prezzi è stata più elevata. Suddividendo le famiglie in cinque gruppi per livello di spesa, il tenore di vita, l’aumento dei prezzi al consumo osservato tra il 2019 e il 2023 è stato pari al 21,7% per il primo gruppo, il più povero, e al 15,7% per il quinto, il più ricco. Negli ultimi 10 anni le famiglie dei ceti bassi e medio-bassi hanno subito una riduzione rispettivamente del volume degli acquisti dell'8,8% e dell'8,1%, quelle del ceto medio tra il 6,3 e il 7,3% mentre le famiglie più abbienti, appartenenti all'ultimo quinto, hanno contenuto le proprie perdite con un -3,2%. A proposito delle politiche di redistribuzione della ricchezza, l’Istat afferma che il Reddito di cittadinanza, ora sostituito da sussidi meno generosi, ha salvato dalla povertà un milione di persone.

Demografia giù

Al 31 dicembre 2023, la popolazione residente in Italia era di 58.989mila unità, in calo di 7 mila persone rispetto a un anno prima. Con appena 379 mila nascite, il 2023 ha fatto registrare l’ennesimo minimo storico, 200 mila nati in meno del 2008. Il numero medio di figli per donna è sceso a quota 1,20, avvicinandosi al minimo di 1,19 registrato nel 1995. Ma rispetto ad allora a frenare la demografia oggi pesa anche il più basso numero di potenziali genitori. Basti pensare che nel 2023 i giovani tra i 18 e i 34 anni erano tre milioni in meno rispetto a 20 anni prima. Il saldo naturale della popolazione è fortemente negativo: negli ultimi quattro anni si è registrata una perdita di popolazione di 1 milione 240 mla unità. Un crollo compensato dalla ripresa dei movimenti migratori internazionali: nel 2023 i tra sferimenti in Italia sono stati 416 mila, in decisa crescita rispetto alla media dell’ultimo decennio (circa 314 mila l’anno).

Produttività al palo

In Italia, in un quadro di crescita debole, l’apporto della produttività (Pil per ora lavorata) alla variazione complessiva del 7,7 per cento del Pil in volume tra 2000 e 2023 è stato pari ad appena 1,5 punti percentuali. Secondo l’Istat il divario tra Italia, Francia e Germania è in gran parte riconducibile al permanere in Italia di una quota più elevata di piccole imprese. Nel 2023, anno in cui l’occupazione è cresciuta più velocemente del Pil, il valore aggiunto per ora lavorata è diminuito in Italia dell’1,2%. Confermando la stagnazione della produttività. Nei prossimi anni però, afferma l’Istat, il sistema economico beneficerà compiutamente del flusso di risorse del Pnrr e della recente risalita degli investimenti, che potrebbero favorire un recupero di produttività già nel breve periodo.

Più lavoro

Il tasso di occupazione della popolazione in età di lavoro (15-64 anni) nel 2023 ha raggiunto il 61,5%, guadagnando 2,4 punti percentuali rispetto al 2019 sia per gli uomini (al 70,4%) sia per le donne (al 52,5%). Per quanto riguarda la qualità del lavoro, nel 2023, la crescita dell’occupazione ha riguardato soprattutto gli occupati a tempo pieno e indeterminato, un dato che dipende però dal maggior numero di lavoratori nelle classi di età più anziane. L’Italia conserva una quota elevata di occupati in condizione di vulnerabilità lavorativa. La quota di occupati part-time è 17,6%, ma oltre la metà di questi (58%) lavora poco non per sua scelta ma perché non trova di meglio. I contratti a termine sono calati nel 2023 ma mantengono una forte caratterizzazione per genere e per età del contratto: sono la forma con cui sono impiegati oltre la metà dei giovani di 15-24 anni e, in misura maggiore, le donne di tutte le età. A confronto con il 2013 il potere di acquisto delle retribuzioni lorde è cresciuto nella media Ue27 del 3%, mentre in Italia è diminuito del 4,5%. Nell’ultimo biennio presentiamo la dinamica peggiore in termini reali (-6,4 per cento rispetto al 2021) seguita dalla Germania (-4,1); perdite più contenute si osservano in Francia e in Spagna (rispettivamente -1,5 e -1,9%).

E più lavoro povero

Gli occupati che vivono in una famiglia a rischio di povertà nell’Ue27 costituiscono l’8,5% del totale. In Italia la quota è aumentata costantemente negli ultimi anni, passando dal 9,5% del 2010 all’11,7 del 2022: più di un lavoratore su 10: il fenomeno riguarda soprattutto giovani, donne e stranieri – le figure più frequenti proprio nei contratti non standard. Il rischio di povertà infatti raddoppia se si lavora part-time, se si ha un contratto a tempo determinato o un lavoro autonomo. Tra gli occupati con solo l’istruzione primaria l’area del lavoro povero raggiunge il 18,7%. Inoltre nel nostro Paese le famiglie con figli minorenni hanno un rischio di indigenza maggiore, con una percentuale che supera il 20%nel caso di famiglie monogenitori. Nell’ultimo decennio l’incidenza della povertà assoluta individuale tra gli occupati è balzata dal 4,9% nel 2014 al 7,6% nel 2023. Per gli operai l'incremento è stato ancora più rapido passando da poco meno del 9% al 14,6%.

I sovra-istruiti

Alla crescita media dell’istruzione e del numero dei laureati non corrisponde sempre un analoga crescita della qualità del lavoro. Nel 2023, tra gli occupati laureati circa 2 milioni di persone (il 34% del totale) risultano occupate con un inquadramento professionale che non richiede necessariamente il titolo d'istruzione conseguito. Sono i cosiddetti sovra-istruiti. L'incidenza, spiega, raggiunge il 45,7% tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche ma scende pur restando consistente, (27,6%) tra i laureati in discipline tecnologiche, scientifiche e matematiche.



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