«Il mare era agitato, nella barca c’erano 200 persone, mangiavamo biscotti e acqua. La gente gridava per la paura. Durante il viaggio ero agitato e molto triste, perché non so nuotare e la barca si muoveva molto, avevo paura di cadere in acqua e annegare. La sete e la fame mi facevano stare sveglio, ero scoraggiato e preoccupato». Ad appena 14 o 15 anni hanno attraversato da soli a piedi il deserto e almeno quattro o cinque Stati africani, hanno lavorato duramente in Libia per un tozzo di pane, hanno subìto le torture della prigionia e l’angoscia di poter morire affogati nell’ultimo braccio di mare che li separa dalla libertà. Sono i minori stranieri non accompagnati che arrivano a centinaia, ogni giorno, sul- le coste siciliane. Sono quelli che trovano ospitalità in strutture inadeguate, caotiche e d’emergenza approntate da Comuni sull’orlo del dissesto finanziario, come accade ad Augusta, ogni giorno, da mesi. Riacquistata la precaria serenità per essere sopravvissuti, sono loro stessi a raccontare la loro storia ai mediatori, agli operatori o scrivendo quelle terribili avventure di proprio pugno, come ha fatto Memba, un giovane di 16 anni della Guinea Bissau. In cinque mesi di permanenza in Sicilia ha già imparato non solo a parlare l’italiano, ma anche a scriverlo quasi correttamente, studiando dalla mattina alla sera. È il miracolo della casa della carità Talità Kum, accanto alla parrocchia Santa Lucia di Augusta, dove quattro giovanissimi africani, due del Senegal e due della Guinea Bissau, sono stati accolti dal parroco don Angelo Saraceno e “adottati” dall’intera comunità, che si fa carico del vitto, del vestiario e della loro istruzione. Loro sono giunti a ottobre coi barconi in balia del mare, prima che partisse l’operazione Mare nostrum. Il loro futuro non è in Germania o in Olanda, loro se lo stanno costruendo in questo lembo di Magna Grecia. «Si tratta di un progetto di accompagnamento di autogestione – spiega don Angelo Saraceno, che è anche responsabile cittadino della Caritas e direttore dell’Ufficio regionale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza episcopale siciliana –. I ragazzi vivono in un gruppo appartamento, ci sono i tutor di Siracusa che li seguono sotto l’aspetto legale. Qui loro vivono, imparano a gestire la propria giornata, a cucinare. Li stiamo abituando alle regole. Ma soprattutto stiamo puntando molto sull’istruzione e l’avviamento al lavoro». Eduardo, Kaba, Dembo e Memba non hanno un momento libero. La mattina arrivano Pina Briguglio e Serena La Ferla, due insegnanti in pensione, per le lezioni individuali di italiano. Nel pomeriggio frequentano la scuola serale per conseguire la licenza media e la sera imparano un mestiere: due vanno a un corso per elettricisti e due per meccanico. «Vogliamo trovare qui una nuova vita – racconta ancora Memba –. Abbiamo lasciato la nostra famiglia, abbiamo affrontato il viaggio nel deserto, lavorato come camerieri, muratori. Poi la traversata col barcone. In quello in cui viaggiavo io eravamo 92 persone. Siamo rimasti in mare per tre giorni senza cibo, solo qualche galletta di riso. Mi sento miracolato, lo so che sono fortunato. L’Europa dovrebbe fare qualcosa per risolvere la situazione ». Don Angelo conosce bene le loro storie, come quelle delle decine di somali, eritrei e siriani ospitati nel novembre scorso in un’altra struttura. «All’inizio i somali non volevano mangiare e non capivamo il perché – dice don Angelo –. Poi abbiamo scoperto che temevano di ingrassare, perché, sul barcone in cui avevano viaggiato, le persone più robuste erano state buttate in acqua per alleggerire il carico». Adesso questa nuova forma di assistenza sembra portare buoni frutti, anche se riguarda solo numeri piccolissimi. «Il nostro obiettivo è inserire questi ragazzi nel nostro tessuto territoriale e familiare» aggiunge don Angelo, che durante il Giovedì santo ha distribuito, assieme agli altri parroci di Augusta, una lettera rivolta ai 'fratelli africani o asiatici'. Si punta all’affido dei giovani a famiglie siciliane, come è accaduto per Abdullaj, un ragazzo somalo che adesso vive e studia ad Augusta. Ha lo sguardo sereno, volto in avanti. Sogna di fare il calciatore, come i suoi idoli del Chelsea.