martedì 15 marzo 2011
Fino a domenica sul taschino dei camici uno slogan per far conoscere ai cittadini l’importanza di un lavoro che si ritiene non valorizzato a sufficienza. L’agitazione iniziata oggi verrà replicata dal 9 al 14 maggio. Sul sito della Consociazione Nazionale che riunisce le associazioni di categoria è possibile sottoscrivere un comunicato di denuncia. 
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Sono come un fiume carsico che scor­re sotterraneo: c’è sempre ma lo si nota solo quando - e se - emerge, quando sale alla ribalta per un breve trat­to. L’invisibilità è il destino degli infer­mieri e della loro professione, relegati al mondo dell’indistinto dal ruolo gregario che da sempre viene loro attribuito, con­dannati a non avere a livello sociale la sti­ma che meriterebbero: tutti ricordano il nome del medico che li ha curati, chi sa elencare quelli degli infermieri che lo ac­cudivano in reparto? Eppure sono questi professionisti - da anni, il lavoro richie­de una laurea - che rendono accettabile la vita del paziente ospedalizzato, che lo accudiscono nei bisogni quotidiani met­tendo le loro mani al servizio di chi è in­capace di compiere gesti banali in salute ma inarrivabili nella malattia. Gli infermieri con passione e compassione sono a fianco del malato: non lo curano, se ne prendono cura. Confinati a fare da spal­la ai medici - laureati ben più illustri nel­l’immaginario collettivo - dovrebbero es­serne a tutti gli effetti partner alla pari, nel rispetto delle competenze di ciascu­no. Non è così. Anzi, le cose sono andate via via peggiorando nel corso degli ulti­mi anni: per rispondere all’ormai croni­ca carenza di infermieri, le amministra­zioni ospedaliere hanno introdotto nelle corsie figure non professionali - opera­tori socio-sanitari e operatori tecnico­assistenziali, spesso con istruzioni diso­mogenee - che non sono in grado di ri­spondere ai complessi bisogni dei pa­zienti. Perché non sono infermieri ma ­basta un camice bianco - come tali ven­gono percepiti dagli utenti. E la confu­sione impera.Ma «Senza infermieri non c’è futuro»: se la appunteranno sul petto la protesta - gli infermieri - e sfoggeranno sul taschino per tutta la settimana, fino al 20 marzo (e, poi, dal 9 al 14 maggio), un cartellino con una frase che ha la sintesi dello slogan e la forza della verità. La mobilitazione par­te dal Cnai, la Consociazione Nazionale delle Associazioni Infermieri, che invita a partecipare tutti gli infermieri ma anche i cittadini e le loro associazioni, le asso­ciazioni del volontariato e tutte le Ong e le Onlus coinvolte nei servizi alla perso­na. Sul sito del Cnai (www.cnai.info) si possono stampare il cartellino e locandi­ne da esporre ma anche sottoscrivere un comunicato di denuncia.In pratica, il fiume carsico ha deciso di e­mergere e lo fa protestando ma anche - e soprattutto - proponendo: «Gli infermie­ri possono fare realmente la differenza nella vita delle persone, in ospedale cer­tamente ma anche e soprattutto fuori dal­le corsie, sul territorio. Il nostro scopo è informare i cittadini - spiega Cecilia Si­roni, consigliera nazionale del Cnai - non solo su chi sono e che cosa fanno gli in­fermieri che operano ogni giorno nelle strutture sanitarie pubbliche e private del nostro Paese ma anche e soprattutto co­sa potrebbero fare e non viene consenti­to loro di farlo».I temi sul tavolo sono parecchi: «La po­polazione sta invecchiando a vista d’oc­chio e la percentuale di anziani in Italia è destinata a una crescita continua - spie­ga Sironi - con un conseguente aumento delle persone affette da patologie multi­ple, della prevalenza di malattie croni- che. Ma queste caratteristiche di anzia­nità e cronicità richiederebbero innanzi­tutto interventi di assistenza infermieri­stica domiciliare. Al contrario, la scelta cade quasi sempre sull’ospedalizzazio­ne». E qui il serpente comincia a mordersi la coda… «La necessità di controllare i costi - prosegue l’infermiera, trent’anni di professione alle spalle - riduce i tempi di ricovero e si finisce per dimettere perso­ne con un elevato numero di problemi che richiederebbero un’assistenza spe­cializzata ». Ma un problema considerato troppo lieve per un ricovero non è mai al­trettanto lieve per chi lo vive sulla pro­pria pelle: l’incontinenza o le lesioni da decubito, una ridotta mobilità ti cambia­no la vita. «La necessità di percorrere la strada della dimissione precoce dovreb­be spingere a organizzare servizi di vici­nanza territoriale ai cittadini. Da anni ­prosegue Cecilia Sironi - si parla di me­dicina di comunità, di infermiere di fa­miglia, di assistenza domiciliare ma i ser­vizi effettivamente presenti e funzionan­ti risultano assolutamente disomogenei sul territorio nazionale. In certe zone so­no previsti, in altre totalmente scono­sciuti. Alcuni sono efficienti, altri caren­ti».È innegabile la fiducia che gli infermieri sanno suscitare nei confronti dei tanti cit­tadini che si trovano a dover ricorrere al servizio sanitario in qualche momento ­prima o poi tocca a tutti… - della loro vi­ta. A questa fiducia adesso fanno appel­lo gli infermieri: «Vogliamo che tutti sia­no consapevoli dei rischi a cui andiamo incontro. Noi siamo parte della soluzio­ne del problema - conclude Sironi - per­ché gli infermieri possono realmente fa­re la differenza nella vita delle persone».SECONDO L'OCSE MANCANO ALMENO 100MILA PROFESSIONISTIL’ultimo rapporto Ocse conferma che nel nostro Paese prosegue il sottodimensionamento degli infermieri: mancano all’appello tra i centomila e i centodiecimila professionisti perché l’Italia possa considerarsi in linea con gli altri Paesi occidentali . I dati pubblicati sul sito dell’Ocse ci vedono ancora agli ultimi posta nella classifica, seguiti  da Slovacchia, Ungheria, Polonia, Portogallo. In compenso continua a crescere il numero dei medici, loro sì in sovrappiù: per riequilibrare il rapporto medici/infermieri e portarlo a livello della media degli altri Paesi membri dell’Ocse, in Italia ci dovrebbero essere tre infermieri per ogni medico. Invece non ce ne sono neppure due (la media è 1,9). La professione non riesce ad attirare i giovani anche se in tempi in cui la crisi economica  si fa sentire e le assunzioni crollano in picchiata, il settore resta l’unico a garantire un lavoro sicuro subito dopo la laurea. Le facoltà di Infermieristica fanno il pieno di iscrizioni e ci sono persino molti più candidati che posti a disposizione ma si tratta spesso di una seconda o di una terza scelta, un ripiego per non restare senza un posto nel caso non si passassero le selezioni nella facoltà d’elezione. Tra chi frequenta i corsi - i dati arrivano dalla Federazione Ipasvi,  la Federazione dei Collegi degli infermieri - meno di due studenti su tre arrivano alla laurea: il tasso di conseguimento è stimato non superiore al 62-65%). A questi ritmi bisognerebbe aspettare il 2022 per vedere il colmato il gap con gli altri Paesi occidentali.
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