La discussione sul premierato presuppone che la democrazia sia in crisi profonda. Altrimenti, perché proporre una riforma così radicale? E a questa crisi si richiamano, da posizioni opposte, sia i fautori del premierato, che enfatizzano la scelta diretta del premier ad opera del popolo; sia i suoi critici, per i quali questa riforma fa saltare l’equilibrio tra poteri diversi. E poiché l’appello al potere del popolo ha maggior appeal del più complesso argomento della divisione dei poteri, il premierato parte avvantaggiato. Ma la questione è troppo seria per fermarsi qui. Prima di discutere le soluzioni bisogna capire qual è il problema. Perché la democrazia è in crisi? E il premierato – o l’elezione diretta del Presidente della Repubblica o il cancellierato o quant’altro – fermano o aggravano questa crisi? È singolare che tutti partano da una convinzione condivisa: nel mondo iperaccelerato di oggi, nelle imprese come negli Stati, c’è bisogno che qualcuno possa prendere decisioni in tempi rapidi e abbia poi il potere di realizzarle per un tempo congruo. Sottolineo: è una convinzione bipartisan e anche per questo il dibattito appare oggi insieme povero e confuso. E si aggiunge: è necessario affrontare in questa chiave anche il problema del consenso. Ma se prioritarie sono rapidità di decisione e stabilità di governo, il consenso diventa una variabile dipendente. Il popolo scelga – possibilmente tutto in una volta: Parlamento, Presidente del Consiglio, eventualmente anche Presidente della Repubblica ecc. – e poi tolga il disturbo. Ma non basta costringere i cittadini a scegliere a chi dare “pieni poteri” per cinque anni perché ci sia democrazia. È decisivo anche che cosa c’è prima e che cosa c’è dopo. In una parola: c’è bisogno di pluralismo vero. E cioè: molteplicità di partiti, ricchezza di opinioni, luoghi di confronto, spazi di discussione… Di più: c’è bisogno di una società che si articoli in molteplici soggetti collettivi, in cui approfondire i problemi e formarsi idee chiare, convincimenti solidi ecc. Insomma, tutto ciò che il primato della velocità – e ciò che lo concretizza, in primis propaganda populista e social media - ha distrutto negli ultimi decenni. La crisi della democrazia, infatti, è soprattutto crisi di pluralismo e in particolare di quei corpi intermedi che la Costituzione italiana mette a fondamento di tutto l’edificio politico-istituzionale. Perché il popolo non ha mai una voce sola ed è rappresentato solo dall’insieme di tante voci diverse.
Ma, si dirà, se il mondo di prima non c’è più, è impossibile tornare indietro. Vero, ma davanti a un mondo cambiato si possono fare
scelte diverse. Se tutto oggi tutto muta rapidamente, c’è bisogno soprattutto di decisioni veloci o, piuttosto, di decisioni giuste? Il
mondo è dilaniato da molteplici guerre e siamo sull’orlo di un conflitto ancora più grande: in tale situazione, conviene delegare a uno solo il potere di decidere? La storia insegna che guerra vuol dire responsabilità gravi, decisioni difficili, conseguenze pesanti, tutte cose che richiedono la partecipazione più ampia possibile, il coinvolgimento di voci e soggetti diversi, la collaborazione tra
avversari politici… Persino quelle larghe intese o quei governi tecnici che vengono presentati oggi come il male assoluto. Solo così le democrazie del Novecento hanno saputo resistere al primato della forza e riportare la pace nel mondo. Naturalmente, tutti speriamo che il rischio di un grande conflitto mondiale non si concretizzi e che la guerra cominci a ritirarsi dai tanti luoghi del mondo dove oggi domina. Anch in questo caso, però, il pluralismo resta l’obiettivo prioritario se vogliamo salvare la democrazia. Proprio perché i partiti di una volta non ci sono più, chi oggi ha il potere di decidere metta in atto tutto il possibile per contrastare la disaffezione dei cittadini. Attualmente, la legge elettorale permette a pochi leader di scegliere i futuri parlamentari? La si cambi subito riportando lascelta nelle mani dei cittadini. E invece di ridurre la democrazia a scontro tra due capi, si dia la possibilità di esprimersi a voci diverse, perché le decisioni migliori sono quelle che nascono dalla sintesi di esigenze molteplici, dall’equilibrio tra posizioni differenti, dall’armonia tra esigenze parziali ma valide. Ci sono molti modi per conciliare tutto questo con garantire velocità e stabilità, quando è necessario. Compreso un cambiamento nei poteri del presidente del Consiglio. Ma senza dimenticare la lezione dei padri costituenti. Quando si discusse l’art. 92, sostenitori e oppositori di maggiori o minori poteri di questa figura avevano la convinzione comune che nell’Italia democratica e repubblicana i governi sarebbero stati formati da coalizione: non da un solo partito ma da più partiti insieme. Condividevano, insomma, la convinzione che la politica avrebbe dovuto basarsi su un solido pluralismo di forze e di opinioni. Vale ancoradi più oggi quando tanti cambiamenti rendono il pluralismo più difficile e ovunque soffiano forti spinteverso polarizzazioni sempre più aspre.
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