I primi a finire in pattumiera sono i latticini, i formaggi freschi che si servono a fine pasto e che hanno un destino segnato: ignorati dai già satolli commensali, restano a languire in frigorifero fino alla data di scadenza. Cestinati anche pane – se ne fa volentieri a meno quando il companatico abbonda – insieme con chili e chili di frutta e verdura. In totale, lo scorso anno tra la vigilia e l’Epifania sono passati direttamente dalla tavola al cestino dei rifiuti circa 500 mila tonnellate di cibo, per un valore complessivo che sfiora il miliardo e mezzo di euro. Lo spreco alimentare è raddoppiato nel corso degli ultimi quarant’anni: una tendenza, spiega la Fao, che interessa globalmente un terzo del cibo prodotto nel mondo. L’abbondanza e il relativo spreco non possiamo più permetterceli, in termini etici prima ancora che economici: circa un terzo della popolazione mondiale è malnutrita. Il che non significa soltanto che ci sono troppe persone che non mangiano a sufficienza ma anche l’esatto opposto: che ce ne sono troppe che si nutrono in sovrappiù (e non certo – o comunque non sempre – con alimenti di qualità). Ogni anno muoiono 36 milioni di persone per carenza di cibo, 29 per il suo eccesso. E a fronte di 148 milioni di bambini sottopeso ce ne sono 155 milioni in sovrappeso. Andrea Segrè è direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie agroalimentari dell’università di Bologna, nonché fondatore e presidente dei Last Minute Market, il mercato dell’ultimo minuto. «Lo spreco, ovvero ciò che si getta via perché invenduto, difettoso, eccedente ma ancora consumabile – spiega Segrè – può essere recuperato. E destinato a beneficio dell’ultimo consumatore, quello escluso dal potere d’acquisto».Anche la tavola di Natale può essere più sobria, tesa a limitare gli scarti e a non produrre avanzi. Sebbene gli scarti e gli avanzi non siano la stessa cosa: la buccia della patata è uno scarto, così come i torsoli delle mele e delle pere, i gambi e le foglie delle verdure che in genere finiscono in pattumiera, i baccelli dei fagioli o delle fave, i gusci delle uova, i noccioli delle ciliegie. «Con tutte queste cose si possono cucinare piatti gustosi. È una cucina che usa per principio lo scarto, ispirata dall’idea che si debba mangiare tutto e acquistare il giusto, scegliendo meglio». Preferire quel che è buono, a ciò che è solo tanto. Perché – prosegue il professore – non sempre il carrello della spesa e il frigorifero sono alleati della massaia: «Comperiamo più di quel che serve, attirati dalle offerte promozionali, e stipiamo tutto in frigorifero che non serve più per conservare ma per accumulare i prodotti. Specie a Natale, quando gli acquisti raggiungono il loro picco». Ma buttare via un chilo di carne significa sperperare molto più denaro di quel che si è pagato il pezzo di manzo o di vitello: «Significa gettare la terra e l’acqua che sono state necessarie ad allevare quell’animale, le risorse utilizzate per produrre il cibo di cui si è nutrito – chiarisce Segrè – per diventare a propria volta il nostro cibo». Dalla produzione fino al suo smaltimento, il rifiuto – lo scarto – ha un costo. Ma ridare a ciò di cui ci nutriamo il giusto valore è un necessario atto di giustizia e di equità: «Ciò che per tanti è abbondanza, spreco, per altri diventa opportunità di riempire il vuoto della scarsità». Segrè per il suo libro
Cucinare senza sprechi (Ponte alle Grazie, 14 euro) ha ricevuto il premio “Artusi 2012” e non è avaro di ricette. Il graten di bucce di patate si cucina come un qualsiasi graten, con la besciamella e il formaggio (quello avanzato), insaporendolo con l’erba cipollina: invece della polpa, l’ingrediente principale sono le bucce ben lavate. E le foglie delle verdure – i rapanelli, le carote, il sedano, le rape... – con un po’ di coriandolo, una mela e qualche pinolo diventano un’insalata saporita. I baccelli dei piselli si trasformano in una crema fredda, gli avanzi della centrifuga o i torsoli di pera rendono più ricchi i muffin. Il panettone avanzato? Si cosparge di zucchero e si frigge in una noce di burro!