Non si conoscono con esattezza l’anno o il mese precisi, tantomeno il giorno, in cui è accaduto. Ma ormai tutti gli esperti concordano: già dalla fine dello scorso decennio, il numero di bambini che nascono ogni anno sulla terra ha smesso di aumentare. Più precisamente, si è arrestata la crescita della componente infantile degli abitanti del pianeta, quella che va da zero a cinque anni. L’ultima conferma è stata comunicata all’inizio di questo mese dal Global Change Data Lab, un’organizzazione non-profit inglese che pubblica on line una ricca massa di informazioni e numeri, chiamata “Our world in data” (il nostro mondo in dati).
Il progetto è nato per offrire istantanee statistiche e risultati di ricerche sullo stato dei grandi problemi globali. E l’aggiornamento diffuso il 2 febbraio ospita un interessante grafico, che riassume stime passate e proiezioni future sulla quantità di bambini presenti nel globo terrestre fra il 1950 e il 2100. Vi si trova ovviamente la conferma del grande boom demografico conosciuto dall’umanità a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale: dai circa 342 milioni di “piccoli” censiti a metà del secolo scorso, si è passati a quasi 620 milioni nel 2000, per toccare il probabile “peak child” (il picco infantile) di oltre 690 milioni nel 2017. Da quel momento si registra l’inizio di una lenta discesa, che sarà seguita da una sostanziale stabilità fino al 2035-2040. Poi si andrà a una costante e progressiva riduzione, fino a 550 milioni di presenze a fine secolo.
È un’ulteriore conferma che l’umanità sta “frenando” la sua espansione e accenna a contrarsi. Lo si era cominciato a constatare già da un po’ di tempo, anche se la marcia indietro, rispetto al secolo della grande espansione, sarà meno veloce, causa il contemporaneo allungamento della vita media. Oggi questa è attestata, a livello planetario, attorno ai 73 anni e, salvo catastrofi simili alla recente pandemia o Dio non voglia peggiori, come una guerra, potrebbe ancora accrescersi leggermente.
Ma la tendenza appare ben delineata: all’interno di quello che Papa Francesco ha definito un cambiamento di epoca storica, si disegnerà anche una nuova struttura della popolazione mondiale. E come è già stato evidenziato, il panorama del 2100 vedrà Africa e Asia ospitare insieme ben oltre l’80 per cento dei circa 10 miliardi di “terrestri” stimati.
Ma in quali condizioni e in quale ambiente vivranno? Su questo le previsioni e le conseguenti valutazioni continuano a divergere. Da quando il reverendo anglicano Thomas Robert Malthus ha dato alle stampe il suo “Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società” (1798), le sue teorie sull’insostenibilità della crescita demografica hanno conosciuto diverse smentite, ma anche nuovi tentativi di rivisitazione e conferma. A innescare, in verità senza volerlo, un certo malthusianesimo “di ritorno”, fu lo studio sui “limiti dello sviluppo”, elaborato più di 50 anni fa dal MIT di Boston per conto del Club di Roma. Erano gli anni della prima grande crisi petrolifera e delle prime evidenze di grave degrado ambientale in alcune aree del pianeta.
Il pessimismo di alcune di quelle stime, specie sulle future carenze di cibo, si è rivelato in gran parte infondato. Oggi si denuncia piuttosto una sovrapproduzione di alimenti e derrate, circa un terzo delle quali finisce buttato via: più che abbastanza per sfamare gli 820 milioni di abitanti del mondo che tuttora patiscono la fame.
Più fondati e confermati dagli eventi successivi erano gli allarmi sui danni ecologici, provocati dalla ricerca e dallo sfruttamento esasperati delle risorse.
Anche in questo caso, qualcuno ne faceva, e ne fa tuttora, derivare una certa “lettura malthusiana”, con pressioni affinché le nazioni maggiormente prolifiche riducano al massimo le loro nascite, considerate di per sé fonte di danno all’ambiente. Ma come insegna l’esperienza degli ultimi anni, e come confermano i numeri in calo delle nuove nascite, la popolazione mondiale sembra tendere quasi spontaneamente a un riequilibrio di lungo periodo.
Quanto all’ambiente, i problemi nascono soprattutto dalle pulsioni predatorie e dall’avidità umana, in genere più presenti là dove la natalità è più debole. Di per sé, la nostra “casa comune” sembra ben lontano dall’aver esaurito le sue risorse, tanto più quando è sorretta dall’ingegno e dalla solidarietà dei suoi abitanti. Meritandosi ancora in pieno la lode di Francesco d’Assisi per “sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta e governa”. Con grande generosità.