«Una condizione allucinante, sono letteralmente in gabbia. È disumano, più del carcere, perché il carcere ha comunque degli spazi mentre qui non ci sono. Ci sono solo gabbie. È solo la privazione della libertà senza un motivo perché hanno già scontato la loro pena ». Così descrive il Cpr di Ponte Galeria, don Gianrico Ruzza, vescovo di Porto-Santa Rufina e di Civitavecchia-Tarquinia, nel cui territorio si trova il centro, dove sono attualmente reclusi in attesa di espulsione 50 immigrati uomini e 5 donne, le uniche di tutti i Cpr. Tra i 30 e i 50 anni. Due mesi fa, il suicidio di Ousmane Sylla, 22 anni della Guinea. Ieri, il vescovo ha celebrato qui la Messa, la prima in questa realtà, una delle prime in tutt’Italia. «Sono andato per portare la speranza di Cristo - ci racconta il vescovo, che è delegato per la Pastorale sociale e del lavoro della Conferenza episcopale del Lazio -. È stata una Messa molto particolare. Ho vissuto un’intensità straordinaria. Ho capito che il mistero della Passione di Cristo e della Resurrezione, l’avevo incarnato in questa gente che ti guarda e che è venuta con un sorriso. Per loro è stata una boccata d’ossigeno per una quotidianità che è drammatica. Vivono in questi spazi ristretti e la maggior parte del tempo la passano a dormire perché non sanno cosa fare». Col vescovo c’erano la direttrice della Caritas, Serena Campitiello, il vicario foraneo di Selva Candida, don Lorenzo Gallizioli, il delegato episcopale per la pastorale, don Giovanni Maria Righetti, il parroco di Ponte Galeria, padre Manuele Solofa, il direttore del Centro missionario. don Federico Tartaglia, il direttore ufficio pastorale dei migrati, padre José Manuel Torres Origel. «Gli immigrati hanno gradito la Messa, hanno capito che era un segnale di speranza ». Per motivi di sicurezza hanno potuto partecipare solo dieci di loro. La maggior parte sono persone che durante la detenzione in carcere hanno avuto la scadenza del permesso di soggiorno e non potendo rinnovarlo sono finiti qui. La pena l’hanno scontata per i reati commessi ma con la legge del 2019 il tempo di permanenza nei Cpr è salito da 6 a 18 mesi. E il governo ora ne vuole aumentare il numero. «Alcuni - ci dice ancora il vescovo - si spaccano le gambe apposta, o buttandosi dalla cancellata più alta o sbattendo contro il cemento, perché così riescono a farsi curare in ospedale, gli danno le stampelle per camminare ma in queste condizioni nel Cpr non possono stare e così finiscono per strada. Non c’è il rispetto della vita umana, non vengono considerate persone. È una vita in una sorta di superbunker». Il vescovo era già stato qui a marzo. «Allora ho dovuto fare due ore di attesa per poter entrare. Questa volta è stato relativamente più agevole. Però ci sono sempre tanti controlli all’ingresso. Abbiamo portato dolci e uova di Pasqua. Hanno controllato tutto». Don Gianrico ha parlato con loro. «Chiedono il riconoscimento dei loro diritti. Un tunisino da 28 anni in Italia, mi ha detto “stanotte mi metto la corda al collo”, non per suicidarsi, ma per farsi mandare all’ospedale. Un altro della Costa d’Avorio mi ha detto “sono qui da sette mesi e non ho visto neanche un prete”. Da quando è diventato un Cpr non entra più nessuno. Qualche volta Sant’Egidio per fare scuola di italiano e il Centro Astalli per l’assistenza legale. Ora vedremo anche noi con la Caritas cosa riusciremo a fare. Non possiamo accettare una simile condizione. Siamo un Paese che accoglie, non che tratta così le persone. Non hanno una prospettiva e da qui nascono anche le violenze e le rivolte ». È quello che il vescovo ha detto nell’omelia, rivolgendosi direttamente agli immigrati. «A voi dico, sorelle e fratelli che siete qui oggi, che il Signore vuole toccare il vostro cuore e vuole consolare la vostra sofferenza è la vostra difficoltà. A nome dei miei confratelli che sono qui e dei miei collaboratori, vi dico che c’è un abbraccio di umanità e di solidarietà verso di voi, che non siete soli e che la nostra preghiera è continua e costante per voi. E cercheremo in tutti i modi di mostrarvi che Gesù è vivo e che ci spinge a stare qui con voi ad aiutarvi e a sostenere la vostra sofferenza e il vostro disagio ». Una condizione, torna a dirci, che «è il frutto di una cultura dell’altro che non deve esistere, che non devo conoscere. Un luogo che deve essere invisibile. E questo non è accettabile per noi cristiani, non è quello che ci ha detto Gesù. Invece il migrante è un uomo, una donna, che hanno una storia, che cercano una libera speranza». Infine ci confida: «Dopo l’incontro a marzo sono andato dal Papa e gli ho parlato di questa drammatica sofferenza». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il vescovo di Civitavecchia Tarquinia: «Ho portato la speranza della Pasqua di Cristo e ho detto a questi nostri fratelli che non sono soli. Questo è un luogo inaccettabile per noi cristiani» Monsignor Gianrico Ruzza celebra Messa nel Cpr di Ponte Galeria Un abbraccio tra gli ospiti del Cpr
Il vescovo di Civitavecchia-Tarquinia, monsignor Ruzza: vivono in un superbunker, dove non vengono considerati come persone
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