sabato 29 novembre 2014
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Stanno volentieri in cortile o ai giardini, quasi sempre con i propri amici e si divertono molto. Il 60 per cento, però, è sempre accompagnato da qualcuno. Quasi un quarto passa tre ore al giorno al video. Mentre la metà trova nei compiti un impedimento a giocare all’aperto e il 30 per cento non può farlo a causa dei troppi impegni.  Questo, in sintesi, il risultato dell’indagine sugli spazi di gioco curata dall’Azione Cattolica dei ragazzi in collaborazione con Francesco Tonucci, ricercatore dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Cnr e dal gruppo di lavoro de “La città dei bambini”. L’occasione della presentazione dei dati è il seminario di studio “Sotto a chi tocca. La Convenzione sui diritti del fanciullo e il protagonismo dei ragazzi”, che si tiene oggi e domani a Roma, a 25 anni dall’approvazione dell’importante documento e per festeggiare i 45 anni di vita dell’Azione cattolica dei ragazzi, nata il 1° novembre 1969 dalla scelta dell’Azione Cattolica di unificare le “Sezioni minori”, che oggi conta oltre 300mila iscritti. Due date cruciali e un solo fine: mettere al centro i piccoli, non considerare più i minori oggetto di diritti, ma soggetti di diritto. «È importante partire dai loro sogni e progetti», spiega Anna Teresa Borrelli, responsabile nazionale Acr.  L’indagine sul gioco ha coinvolto circa 20mila bambini e ragazzi tra i 6 e i 14 anni, molti dei quali alunni delle scuole cattoliche. Dal test è emerso che, per la maggior parte dei ragazzi, il gioco è il gioco libero. Anche se quasi uno su quattro passa tre ore al giorno davanti al pc o allo smartphone. Il dato è in linea con quanto fatto registrare da una ricerca condotta dall’Istituto di ricerca Censuswide per conto di Duracell, secondo cui il 22,7% dei bimbi italiani trascorre oltre tre ore e mezza al giorno davanti a uno schermo. Mentre la stessa indagine ha evidenziato che la media rilevata in altri Paesi (Inghilterra, Francia, Germania e Russia) è del 9,3%. A commento di questi dati lo psichiatra e psicoterapeuta Raffaele Morelli ha affermato che i giochi digitali rappresentano una valida alternativa se utilizzati per periodi limitati di tempo.  «Purtroppo il modo in cui stiamo strutturando le città è pensato a misura di automobili – sottolinea Tonucci –. Invece, i ragazzi hanno bisogno di luoghi in cui incontrarsi. Basti pensare che non più del 7 per cento dei bambini italiani delle elementari può uscire da solo per andare a scuola».  Un altro limite evidenziato dal ricercatore è che spesso i piccoli giocano sotto lo stretto controllo dei genitori. «Così non si diventa autonomi, non si sperimenta il rischio, l’emozione dell’avventura, della scoperta, della meraviglia – osserva –. Questo non significa che l’adulto non debba esserci, ma i figli si devono sentire liberi per poter diventare responsabili». Il seminario, che si conclude domani, vede la partecipazione di più di 400 educatori da tutta Italia. Fra i relatori: Vincenzo Spadafora, presidente dell’Autorità Garante dell’infanzia e dell’adolescenza; Michele Riondino, docente di Diritto di famiglia e dei minori alla Pontificia Università Lateranense e Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione Cattolica.
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