Il fiume Po senz'acqua - Ansa
Usare meglio l’acqua che ancora c’è. Pensare (e fare) investimenti per conservare meglio l’acqua che ci sarà. Il caldo e la siccità che bruciano l’Italia, costringono tutti a fare i conti con uno dei guai perenni del Paese: la mancanza di programmazione. Mentre il “rischio desertificazione” in alcune zone del Paese è ormai una certezza, in altre lo è l’abbassamento delle falde oppure la loro salinizzazione. Emergenze che vanno di pari passo con le carenze della rete idrica e con la mancanza di bacini in grado di raccogliere l’acqua. Con la particolarità, di questi tempi, che l’acqua manca di più al nord che al sud.
In Lombardia, in sei mesi si sono accumulati solo 206 millimetri di pioggia: il 59% in meno rispetto alla media degli ultimi 15 anni. In Piemonte, a Torino, gli ultimi sei mesi sono stati i più secchi da oltre duecento anni. Il Po - dice l’Anbi (che segue i consorzi irrigui e di bonifica) -, per 30 chilometri dal suo delta è salinizzato, mentre, lungo tutta l’asta è al di sotto dei minimi storici.
La siccità sta dilagando anche nel Centro Italia. Mentre nel Mezzogiorno, per ora, l’acqua ancora c’è. Come in Campania, Puglia e Sicilia. Un po’ perché forse è piovuto di più, in po’ perché al Sud ci sarebbero più bacini idrici. «È la dimostrazione – dice Massimo Gargano, direttore generale di Anbi – dell’importanza di avere invasi in grado di trattenere le acque di pioggia». Servono però infrastrutture capaci di non perdere l’acqua ma di ottimizzarne l’uso. A questo, tra l’altro, dovrebbe pensarci anche il Pnrr.
Rimane poi l’esperienza di chi ogni giorno deve fare i conti con il problema. Gli agricoltori in alcuni casi hanno sospeso le nuove semine (con il rischio di non avere foraggi per gli animali), mentre chiedono aiuti di emergenza. Gli amministratori locali devono invece mettere d’accordo usi diversi di una risorsa scarsa.
E fare opera di prevenzione, come dice Loredana Devietti, presidente di Ato3, l’ente di governo del servizio idrico integrato nell’area metropolitana torinese, che spiega: «Quest’anno abbiamo anticipato a metà giugno quello che normalmente accade a metà luglio. Per adesso in nessun nostro comune ci sono limitazioni notturne. Gli squilibri derivano da consumi dell’acqua potabile eccessivi per usi non strettamente necessari che occorre limitare per prevenire crisi più gravi nelle prossime settimane. Da qui la richiesta in alcuni comuni di fare opera di contenimento e di prevenzione».
Vanno in questo senso le ordinanze che in Piemonte e Lombardia sono già state emesse per 125 comuni. Serve però più acqua. Per questo, ieri in Lombardia si è deciso rilasciare dai bacini idroelettrici 5 milioni di metri cubi di acqua in Adda e Oglio.
Sulla gestione e sulla programmazione insiste Pierluigi Claps, ordinario di costruzioni idrauliche al Politecnico di Torino, che dice: «Dobbiamo chiederci se possiamo ancora permetterci di agire pensando di essere “ricchi” d’acqua. Gestione attiva delle falde idriche, con ricarica forzata, e riuso di acque reflue in agricoltura sono urgenti. E servirebbe maggiore coraggio con gli invasi artificiali: da soli non bastano, ma possono integrare strategicamente le altre misure strutturali».
Investimenti, dunque, sulla base di progetti che, in buona parte, già esistono. Come quello di Anbi e di Coldiretti per una serie di bacini idrici montani. Altri interventi infrastrutturali, già finanziati, aspettano solo di partire, come ricorda invece Confagricoltura. Mentre le aziende del settore che fanno capo a Utilitalia sono pronte ad investire 11 miliardi in 5 anni. Tutto tenendo conto che il consumo idrico in Italia è pari a 215 litri per abitante al giorno: in Europa sono 125.