martedì 17 ottobre 2023
Sono 28mila gli “obiettivi sensibili” vigilati, fra cui 205 luoghi di culto ebraico e sedi diplomatiche israeliane. «Nessun allarmismo», ma l'incubo resta quello di gesti isolati e imprevedibili.
La conferenza stampa di Milano dopo l'arresto dei due terroristi

La conferenza stampa di Milano dopo l'arresto dei due terroristi - Fotogramma

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Già nelle prime ore dopo la pioggia di razzi scagliata da Hamas, dopo la presa di ostaggi e la controreazione israeliana, gli scenari disegnati dagli apparati di intelligence occidentali avevano messo in conto una possibile recrudescenza di atti di terrorismo e di attacchi estremisti nei propri Paesi. E i primi due gesti sanguinari, in Francia e in Belgio, non hanno fatto che confermare le ipotesi peggiori. In Italia, dove l'Antiterrorismo e le strutture d'intelligence in questi anni non hanno smesso di fare prevenzione, il livello di guardia è ulteriormente salito. «Il conflitto in Medio Oriente reca con sé il rischio di innescare radicalizzazioni islamiste», è la valutazione del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che in una informativa urgente alla Camera ha fatto il punto rispetto al nostro Paese.

Ventottomila obiettivi sensibili sorvegliati

«Al momento non risultano evidenze concrete e immediate di rischio terroristico per quanto riguarda l’Italia», ma «la situazione è tale da richiedere un elevatissimo livello di attenzione», ribadisce ancora il ministro dell'Interno. A seguito dell’attacco subito da Israele, fa sapere Piantedosi, «ho immediatamente disposto un rafforzamento di tutti i dispositivi di osservazione e controllo riferiti agli obiettivi sensibili», che in Italia «sono stati quantificati in oltre 28mila, 205 dei quali israeliani», in prevalenza sedi diplomatiche o centri religiosi. «È evidente che la situazione internazionale è difficile e lo sarà per i prossimi mesi: si deve mantenere alta l'attenzione - ha detto nei giorni scorsi ancora Piantedosi -. Abbiamo visto quello che è successo pochi giorni fa in Francia. Possono esserci emulazioni, lupi solitari, fenomeni difficili da prevenire. Il nostro sistema di prevenzione è comunque molto capace di contrastare i rischi, questo è un elemento di rassicurazione».

I campanelli d'allarme

«No agli allarmismi, ma il momento è di quelli non semplici», è la considerazione che in questi giorni complicati fanno a mezza bocca gli esperti di Antiterrorismo, chiamati a "leggere" flussi incessanti di dati e informazioni raccolte da chi opera sul territorio (i poliziotti delle Digos e i carabinieri del Ros) e dalle fonti di intelligence e a valutare se, come e dove intervenire per prevenire possibili minacce concrete. Gli arresti effettuati dalla polizia a Milano a carico di un cittadino egiziano e di un italiano anche lui di origini egiziane sono un esempio del modus operandi: l'attivismo di entrambi sul web "nella propaganda e nel proselitismo digitali per conto dell'Isis" (al quale "avrebbero prestato giuramento di appartenenza e di fedeltà") ha fatto scattare nella testa degli inquirenti un sonoro campanello d'allarme, convincendo magistrati e investigatori dell'urgenza di provvedimenti cautelari. A volte, persone sospettate di aver intrapreso un cammino di radicalizzazione vengono seguite per mesi dagli organismi di intelligence, senza metterli in allarme, per ricostruire la rete di contatti e allargare così il novero dei potenziali riferimenti "da attenzionare" nella galassia semisommersa del jihadismo di casa nostra.

Quelle minacce "fluide" lontane dai radar investigativi

«La minaccia terroristica si presenta spesso in maniera impalpabile, fluida e non sempre definibile». La definizione, utilizzata dal ministro Piantedosi nella sua informativa urgente in Parlamento, rende l'idea. Non è semplice individuare per tempo chi ha intrapreso un percorso di radicalizzazione. A volte, il potenziale "lupo solitario" rimane fuori dai radar investigativi, perché non entra in contatto con altri elementi già monitorati e non frequenta siti o chat sorvegliate dagli 007. A volte, il suo percorso verso il jihad avviene quasi in solitudine, e solo chi lo conosce bene (fratelli e sorelle, un coniuge, amici o parenti) è in grado di accorgersi di piccoli mutamenti nel linguaggio e negli atteggiamenti. Una metamorfosi che può trasformare un uomo o una donna - già carichi di rabbia o frustrazione per il mancato inserimento in una nuova società, per la perdita del lavoro o per vessazioni subite - in "armi a orologeria", pronte a innescarsi quando trovano un ombrello ideologico che faccia da "causa" nella quale riconoscersi (i proclami del Califfato, lo scontro fra Hamas e Israele e così via) oppure qualcuno che li motivi a diventare shaid (martiri), spesso con contatti da remoto, sulle reti social. Si tratta dell'incubo peggiore, per gli apparati di intelligence, perché spesso chi si attiva non ha bisogno di molto per compiere azioni efferate: se armi da fuoco o esplosivi sono difficili da procurare, può bastare una vettura lanciata a tutto gas contro un gruppo di pedoni o un coltellaccio da cucina per attaccare un passante. E i "simboli" da colpire possono essere infiniti: persone di una certa nazionalità; fedeli di una certa religione; addetti di un determinato ente pubblico o privato.

Nel 2022 in Europa 6 attentati di matrice jihadista

Secondo il rapporto 2023 diffuso a metà giugno da Europol, nell'anno passato la minaccia jihadista era scemata. Su 28 attentati (andati a segno o falliti) registrati nel 2022 negli Stati membri dell'Ue, solo 6 sono stati attribuiti a estremisti jihadisti: due hanno causato altrettante vittime, uno in Belgio e l'altro in Francia, le stesse nazioni colpite in questi giorni. Altri quattro non sono riusciti nel loro intento, sempre in territorio francese (3 episodi) e belga (1). Il calo di attentati registrato fino allo scorso anno è dovuto anche al folto numero di operazioni preventive: su 380 arresti di presunti terroristi effettuati nell'Ue nel corso del 2022, la maggior parte è stata a carico di sospetti jihadisti in Francia (93), Spagna (46), Germania (30) e Belgio (22). Dopo la caduta militare del Califfato, i fanatici del jihad hanno continuato a tenere attivi i loro canali web per il proselitismo e la propaganda. E ora, le tensioni a Gaza hanno dato ai loro argomenti sanguinari nuova linfa. Ormai "esiste un fenomeno autoctono europeo", secondo Lorenzo Vidino, direttore del programma sull'estremismo alla George Washington University. In base all'analisi di Vidino, "seppure l'organizzazione jihadista sia in crisi, non è sparita e si avvale ormai di una propaganda decentrata e molto orizzontale. Non mi stupirei se chi ha compiuto l'attentato a Bruxelles non fosse mai entrato in contatto con organizzazioni jihadiste vere e proprie, perché più che cellule adesso prevalgono le bolle online, formate da veri e propri consumatori di propaganda". Ciò non vuol dire, prosegue lo studioso italiano, "che i loro componenti non siano potenzialmente meno pericolosi: Basti pensare all'autore dell'attentato di Nizza nel 2016, dove morirono più di ottanta persone investite tra la folla con un autocarro. La vicenda dell'attentatore del giovane ceceno in un liceo francese è poi un esempio degli ultimi giorni. In casi molto più sporadici invece c'è un legame diretto, anche con contatti offline: in Germania ad esempio è stata recentemente smantellata una cellula che comunicava con l'Isis in Siria".

Investigatori della Polizia impegnati in un arresto

Investigatori della Polizia impegnati in un arresto - Fotogramma

Carceri e moschee radicali

A parte il web e i canali virtuali, la lettura della mappa dei rischi in Italia parte da alcuni luoghi fisici, suscettibili di funzionare come brodo di coltura: piccole moschee gestite da predicatori dal credo radicale; celle di ambienti carcerarie, dove elementi più esperti possono reclutare e indottrinare persone in crisi di identità e rese ancor più fragili dalla detenzione; appartamenti condivisi e altre realtà di aggregazione presenti nei grandi centri urbani (Milano, Bologna, Torino, Napoli, Roma e altre) o nei piccoli paesi di provincia, dal profondo Nord fino al Centro Sud. "Rispetto ai numeri di altri Paesi come la Francia, dove si contano trentamila soggetti radicalizzati, nel nostro Paese (in assenza di numeri ufficiali) si ipotizza qualche centinaio di soggetti, alcuni forse sconosciuti all'intelligence, ma sulle cifre bisogna essere cauti", argomenta ancora Vidino.

I “foreign fighters” rientrati

Fra gli osservati speciali dell'Antiterrorismo, restano infine i combattenti tornati da zone di conflitto (come la Siria), dove l'Isis - pure essendo stato sconfitto - ha lasciato semi di odio e radicalismo. I foreign fighters connessi col nostro Paese sono146, di cui 61 deceduti e 35 rientrati. E nel 2022 sono stati rimpatriati 79 soggetti pericolosi, tra cui un marocchino espulso a cui è stata revocata la cittadinanza italiana. Secondo la relazione consegnata al Parlamento dagli apparati d'intelligence italiani, ci sono ancora "fattori di rischio, esogeni ed endogeni, legati all'estremismo sunnita", Inoltre, segnali dal fronte siro-iracheno hanno confermato, l'attivismo online o direttamente sul campo, di alcuni "foreign fighters rimasti su posizioni irriducibili". E, sul piano della propaganda, l'anno passato si sono contati altri messaggi e video minatori nei confronti dell'Italia.

I flussi migratori sotto la lente

Il ministro dell'Interno segnala inoltre l’innalzamento dell’attenzione «in relazione ai possibili profili di rischio di infiltrazione terroristica nei flussi migratori». Lo stesso attentatore di Bruxelles, Abdesalem Lassoued era arrivato a Lampedusa nel 2011, era stato «fotosegnalato» a Porto Empedocle e, dopo esser stato allontanato dalla Svezia, era tornato in Italia nel 2016, venendo identificato a Bologna dalla Digos come radicalizzato. Anche sulla base di quel precedente, il Viminale in questi giorni ha potenziato i controlli alle frontiere e nelle principali aree di sbarco e negli hotspot nazionali, raccomandando di intensificare gl scambi di informazioni fra polizia e intelligence. «I flussi migratori incontrollati sono forieri di grandi guai - considera il direttore della Polizia delle frontiere, Claudio Galzerano, già coordinatore dell'ufficio Antiterrorismo di Europol - Dobbiamo fare tesoro delle lezioni del passato. Da noi, a seguito di quello che è successo in Algeria, Tunisia, Marocco ed Egitto negli anni '90 e successivamente, ci sono state diaspore di estremisti che si sono installati nelle nostre città. Che poi stanno all'origine dei peggiori attentati che si sono verificati in Europa e nel mondo. Io ricordo che c'era un contatto diretto tra la 'centrale' egiziana di Milano e quello che è successo l'11 settembre». Il dispositivo di sicurezza prevede anche l'intensificazione dei controlli nei porti e nei valichi di frontiera. L'obiettivo del governo è quello di "intercettare" chi presenta profili ad alto rischio o abbia precedenti. Già nei giorni scorsi, sono arrivate segnalazioni di arrivi dalla Palestina. E nei mesi scorsi, ha fatto sapere il titolare del Viminale, «senza fare troppo clamore, abbiamo intercettato qualche personaggio già noto agli atti che manifestava elementi di preoccupazione».




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