mercoledì 7 febbraio 2024
L'associazione Naga denuncia: «Un ospedale di Milano ci ha chiesto la presa in carico di un paziente ma, semmai, dovrebbe essere il volontariato a segnalare al pubblico chi ha bisogno di cure»
Una dottoressa del Naga presta le cure a un paziente nell'ambulatorio dell'associazione

Una dottoressa del Naga presta le cure a un paziente nell'ambulatorio dell'associazione - Fotogramma

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È un caso che fa discutere. Una persona senza dimora di origine straniera viene ricoverata in una grande struttura ospedaliera milanese per ulcere alle gambe. L’uomo viene sottoposto alle prime cure e agli esami clinici necessari, poi viene dimesso. Ma al momento di lasciare il reparto la direzione sanitaria dell’ospedale invia una mail “ufficiale” al Naga, organizzazione di volontariato che nel capoluogo lombardo si occupa di assistenza socio-sanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti, chiedendo di farsi carico del paziente e di accoglierlo nel loro ambulatorio medico perché «ha bisogno di medicazioni a ferite gravemente infette». «Alla richiesta erano stati allegati tutti i dati personali e sanitari del paziente e persino i contatti dei parenti» sottolinea il direttore sanitario dell’associazione, Fabrizio Signorelli.

«Come riconosciuto dall’art. 35 del Testo Unico sull’Immigrazione – spiega il dottore - tutte le persone presenti sul territorio italiano hanno diritto alle cure mediche “urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative”, indipendentemente dal loro status giuridico e dalla loro condizione abitativa. La richiesta dell’ospedale di scaricare verso una struttura di volontariato il proseguimento delle cure di un loro paziente è grave in termini di mancata assunzione di responsabilità, ed evidenzia in modo inequivocabile il tentativo di delega al terzo settore di una funzione eminentemente pubblica, che tale deve restare» afferma Signorelli. «Non è la prima volta che succede – denuncia il direttore sanitario Naga – ma questi episodi ci lasciano ogni volta esterrefatti e sdegnati: ci chiediamo anche se si sarebbe ritenuta normale una richiesta di questo tipo, con l’invio senza alcuna precauzione di dati così sensibili e personali a un indirizzo e-mail generico, se il paziente fosse stato una persona con cittadinanza italiana», prosegue il medico. Ma come è finita la vicenda del clochard? Il Naga ha risposto alla mail invitando caldamente l’ospedale a una «presa in carico urgente e definitiva del paziente, per la quale la struttura è perfettamente attrezzata. Come associazione ci siamo e ci saremo per chi ancora non trova accoglienza e cura da parte del servizio pubblico, ma rifiuteremo sempre ogni tentativo di chiamarci a sostituirlo, per continuare invece a difendere i diritti di tutte e tutti e a perseguire il nostro obiettivo primario: sparire». E speriamo che il paziente, benché privo del permesso di soggiorno, stia ricevendo le cure di cui ha veramente bisogno: è un suo diritto, "nonostante tutto".

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