Uccise la madre e l’uomo con il quale credeva avessero una relazione. Credeva. Sabrina (nome di fantasia, ndr) era bambina, rimase con la sorella ancora più piccola, poi affidate agli zii materni. Adesso è donna, ha 25 anni, e porta uno stigma: “Ah, sei la figlia di... ”. Difficile toglierselo, nonostante, “dopo anni, siamo riuscite a cambiare il cognome”.
Lui è in carcere, potrebbe uscire a momenti, senza neppure una parvenza di pentimento: “Da quello che mi scrive, mia madre la ucciderebbe di nuovo”, dice lei, senza tradire emozioni. Sebbene abbia paura, “non sono tutelata, proprio come non venne tutelata mia madre”.
Non prova rabbia verso il padre: “Perché devo logorarmi per una persona che per me è niente?”. Semmai “ho rabbia verso lo Stato che permette tutto questo”.
Ha dovuto combattere demoni e scalare una montagna: “Questa cicatrice non te la togli più, ma devi costruirci intorno la tua vita”. Una sola volta le si è quasi spezzata la voce: "Dovevo proteggere mia madre, l'aveva denunciato, aveva separato i conti, sapeva quel che stava per accadere, non le credetti". Ma una bimba come avrebbe mai potuto proteggerla?".
Il futuro di Sabrina, che è diventata intanto psicologa infantile? “Lo sto ancora costruendo, però non lo vedo nero, come magari potrebbe aspettarsi la maggior parte delle persone, vedo una vita tranquilla”.
Una gran mano a Sabrina l’ha data “Il giardino segreto”, associazione che si occupa “degli orfani di femminicidi e delle famiglie affidatarie – spiega Patrizia Schiarizza, la presidente -, dal 2015 diamo aiuto legale, psicologico, ma soprattutto cerchiamo di aiutarli a riprogettare una vita”. Qual è la cosa peggiore che ha incontrato, secondo lei? “La crudeltà e l’efferatezza di cui gli adulti sono capaci”.