Lui era in carcere dal 2008, dopo avere attraversato da protagonista le vicende di trent’anni di mafia siciliana, ma il suo patrimonio era ancora libero. Duro colpo al tesoro di Cosa nostra, col sequestro di beni per oltre mezzo miliardo di euro a Rosario Cascio, 75 anni, un imprenditore di Santa Margherita Belice ras del calcestruzzo. Nel mirino della Direzione investigativa antimafia e della Guardia di finanza sono finite ville, palazzine, aziende del valore di 550 milioni di euro, tutte collegabili a colui che viene ritenuto il cassiere di Matteo Messina Denaro, il superlatitante di mafia di Castelvetrano, e che era stato condannato per associazione mafiosa a sei anni nell’ambito del processo "Mafia e appalti". Cascio aveva partecipato al sistema Siino (dal nome del pentito Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici della mafia), che prevedeva un sodalizio criminoso per controllare le attività economiche e realizzare ingiusti vantaggi e profitti dal 1994 al 2008. L’imprenditore mafioso, inoltre, ha avuto molti rapporti con Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro.«Finalmente abbiamo "arrestato" anche ciò che possedeva» chiosa con una battuta il procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato, commentando i particolari dell’operazione Denaro. «Il sequestro – aggiunge – rappresenta un grande passo in avanti, perché è proprio sul campo del sequestro dei patrimoni mafiosi che va intensificata la lotta a Cosa nostra. Mentre Cascio stava in prigione, infatti, la sua macchina imprenditoriale continuava ad andare avanti e, soprattutto, a creare consenso, viste le centinaia di lavoratori che operano nelle sue imprese».L’uomo era a capo di una holding mafiosa, con ramificazione a Trapani e Agrigento. Parte dell’ingente patrimonio sequestrato, su disposizione del tribunale di Agrigento, era già stato oggetto di un provvedimento di sequestro penale nel 2008, quando Cascio venne arrestato. La misura fu però parzialmente annullata dal tribunale del riesame, la cui decisione, però, è stata "bocciata" dalla Cassazione su ricorso della procura di Palermo.Nell’imponente operazione sono state sequestrate quindici tra ditte individuali e società di capitali operanti prevalentemente nel settore del calcestruzzo, del commercio degli inerti e degli appalti. Sigilli anche a duecento appezzamenti di terreno sparsi tra le province di Trapani e Agrigento. E poi altre proprietà: dai 170 fabbricati ai 120 automezzi, da cinquanta vetture di diversa cilindrata fino a una imbarcazione da diporto. «La Dia ha intensificato i controlli sul bilancio del Cascio, verificando uno spropositato squilibrio tra reddito ufficiale e reale patrimonio della sua famiglia» spiega Scarpinato.Di «successo straordinario nel contrasto alla criminalità organizzata mafiosa» parla il ministro della Giustizia Angelino Alfano, che evidenzia come tale sequestro «sia stato possibile grazie all’inasprimento del meccanismo delle misure di prevenzione adottato nell’attuale legislatura». Grande soddisfazione da parte di Confindustria Agrigento, in prima linea nella lotta al malaffare e al racket delle estorsioni. «Solo scegliendo di affidarsi allo Stato e alle regole del mercato si può conseguire il successo imprenditoriale ed economico - afferma Giuseppe Catanzaro, presidente di Confindustria Agrigento -. Sono principi che non possono prescindere da una netta posizione di rifiuto nei confronti degli estorsori, dei mafiosi, dei collusi e delle azioni criminali volte a soffocare le imprese sane e a inquinare vasti settori dell’economia».