*Generale della Guardia di Finanza in congedo, Umberto Rapetto si occupa di “computer crime” da oltre un quarto di secolo. Ha fondato e comandato per 11 anni il Gat, Nucleo Speciale Frodi Telematiche, catturando - tra l’altro - gli hacker penetrati nel sistyema informatico del Pentagono e della NASA. Fu Rapetto a scoprire l’incredibile storia delle slot machine non collegate all’Anagrafe Tributaria con il conseguente miliardario danno erariale. Chi si spaventa per gli orrori del web, probabilmente non ha mai visitato i sotterranei della Rete. Le cripte dell’universo telematico, dopo aver ospitato le comunità cyberpunk e i sodalizi underground in fuga dalla colonizzazione commerciale di Internet, hanno prestato gli spazi più profondi ai delinquenti interessati ad essere irraggiungibili ed irriconoscibili. Botole invisibili, passaggi segreti, portelli camuffati e tombini nascosti permettono l’accesso virtuale ad un universo lontano da ogni regola, ad un mondo in cui è permesso tutto quel che altrove è severamente vietato. È il deep web , lo strato profondo cui si può giungere solo conoscendone i tortuosi cunicoli e i relativi 'Apriti Sesamo' indispensabili per passare – come nei videogiochi – da un livello a quello successivo e più impenetrabile. Nelle cavità digitali oggi si annidano i trafficanti di esseri umani, i biechi speculatori su immagini e filmati con turpitudini sessuali e atti di violenza inaudita, i broker di assassinii e di ogni altro reato cruento “ordinabile” alla tastiera al pari di una pizza da recapitare a domicilio, gli erogatori di servizi criminali di estorsione a distanza. Una popolazione eterogenea accomunata dall’esigenza di sfuggire ad ogni ipotesi di identificazione, di dribblare controlli di ogni genere, di uscire indenni da qualsivoglia attività investigativa. Una platea differenziata che, soprattutto, sa di esser difficilmente contrastata. Mentre gli intraprendenti malvagi non perdono occasione per fare “comunella” e non disdegnano di cimentarsi in nuove avventure, i 'buoni' si incagliano nei bassi fondali in cui si mescolano burocrazia, inettitudine, diffidenza, indifferenza. Le Forze dell’ordine – già affannate per il sovraccarico di lavoro tradizionale – non riescono a tener testa all’impetuoso propagarsi di condotte delittuose in Rete e non trovano solidarietà negli interlocutori governativi che testimoniano il proprio disinteresse al fronte digitale, restando impassibili dinanzi alla chiusura di 73 sezioni provinciali della Polizia postale. La decrescente disponibilità di risorse pregiate a contrasto dei reati digitali non ha prospettive di miglioramento: non esiste un centro per formare cyber-detective e nelle scuole non si insegna l’educazione civica telematica. E senza la cultura l’orizzonte non può certo profilarsi sereno. Gli insegnanti e i genitori finiscono all’angolo, incapaci di star dietro all’evoluzione tecnologica e al mutare dei comportamenti, consapevolmente inadatti a svolgere la loro naturale missione pedagogica, sprovvisti di qualunque appiglio nella più sconfortante latitanza istituzionale. Ci si lava la coscienza con l’Internet Safer Day e si accetta che gli altri 364 giorni dell’anno trascorrano all’insegna del bullismo 2.0, delle prevaricazioni sui social network, della mercificazione delle carni di teen-ager pronte a barattare le foto del proprio corpo per una ricarica telefonica o un oggetto griffato, della prudente rinuncia a voler cambiare le cose. Sporadiche iniziative in aula o ridicoli libercoliguida non colmano certo le lacune: è indispensabile progettare ed attuare un rapido piano di azione concreto e determinato, è fondamentale capire che la situazione – già drammatica – può solo peggiorare, è importante cominciare subito. Qualunque fatto di cronaca mostra Internet, computer, tablet, smartphone e telefonini sulla scena del delitto e spesso ne fa riconoscere un ruolo non accessorio. Quanto dobbiamo ancora aspettare per voltare pagina?