Domenica di morte a Scampìa: ucciso in un bar di fronte al carcere di Secondigliano, dove è detenuto il fratello Arcangelo, Raffaele Abete. Piccola pedina nella geografia dei clan, ma utile come ammonimento alla famiglia, avversaria dei Di Lauro.Il sangue macchia dunque di nuovo le strade della periferia nord, quelle che otto anni fa furono teatro della feroce faida di camorra tra la cosca cosiddetta degli scissionisti, che furono vincitori ed egemoni, e il potente clan dei Di Lauro. E la paura ora domina come allora. Per i magistrati quella in atto non è una replica degli orrori del 2004 anche se la causa è sempre il controllo del traffico di stupefacenti nella piazza di spaccio più importante d’Italia. Sono però gli stessi gli agguati e i morti: buona parte dei 42 omicidi di camorra dall’inizio dell’anno a Napoli sono riconducibili alla lotta in atto all’interno della cosca degli scissionisti dopo la divisione operata dai cosiddetti "girati" o gruppo Vanella Grassi, dal nome di un vicolo nel centro storico di Secondigliano prospiciente la zona dell’Arco, quartiere generale del clan dei Di Lauro, di cui adesso sono alleati. Un altro successo per così dire diplomatico di Marco Di Lauro, l’imprendibile ultimogenito del boss e fondatore del clan Paolo Di Lauro, più noto come Ciruzzo ’o milionario, da tempo in prigione.Per il cardinale arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe la camorra «è un tumore. È come quegli animali a cui tagli la testa e poi ne nascono due», ha commentato amaramente il porporato da Sarajevo, dove partecipa al meeting delle religioni per la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Per Sepe la ripresa della guerra di camorra «era stata prevista, sia dalle istituzioni sia dalla stessa polizia in una riunione che si era fatta per la sicurezza». Nella riunione fatta recentemente a Napoli, ha ricordato Sepe, «si era detto che ormai inizia la guerra, una guerra che in un certo momento si era stabilizzata, ma perché ancora nessuno riusciva a prevalere». Però, ha aggiunto, «c’è un grosso impegno da parte delle istituzioni, della magistratura, delle forze dell’ordine per cercare di arginare questo orribile fenomeno». Il "tumore" denunciato da Sepe si alimenta delle enormi potenzialità economiche dei camorristi: «Quindi, in nome del dio denaro, riescono ad avere forza. Ma devo dire – ha concluso il porporato – che negli ultimi tempi c’è stata una forte presa di coscienza da parte delle istituzioni per arginare lo strapotere della malavita. Speriamo che si continui su questa strada».Se la camorra è come un cancro che consuma e distrugge, la Chiesa è «l’unica che fa terapia oncologica sul territorio. Gli altri – osserva don Francesco Minervino, decano dei sacerdoti di Scampìa – danno calmanti, ma non curano la malattia. La spettacolarità cinematografica dei blitz non ci serve se manca l’ordinarietà, la normalità, se fino all’ultimo giorno non sappiamo quante scuole potranno riaprire. Non ci vogliono leggi speciali, ma le leggi dello Stato». Il vero male nella periferia nord di Napoli e in tutte le periferie sono «la povertà e la disoccupazione. Ormai – sottolinea don Francesco – vediamo che a morire e ad uccidere sono giovani. Arriviamo all’assurdo che a Scampìa vengono da altri quartieri a trovare lavoro come spacciatori, come vedette, come parcheggiatori abusivi: c’è sempre qualcosa da fare dove c’è la droga". Periferie come zone oscure dove la gente non crede più, stritolata tra Stato e camorra, «entrambi indifferenti alla sorte delle persone. La situazione - nota don Francesco - peggiora sempre più nonostante arrivino soldi da fondi europei. Ma non c’è verifica, non c’è vera progettualità, non ci sono persone che scommettono su di un inizio certo per arrivare ad una meta concreta».