martedì 4 luglio 2023
Le navi delle organizzazioni non governative continuano a soccorrere e ad essere mandate in porti lontani. Eppure non vengono multate. Perché i salvataggi sono coordinati dalle autorità italiane
Fasi di sbarco in un porto del Mediterraneo

Fasi di sbarco in un porto del Mediterraneo - Ansa

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Decisioni contraddittorie delle autorità italiane nei confronti delle Ong che soccorrono gli immigrati. Continuano ad essere mandate in porti lontani anche alcuni giorni dai luoghi dei soccorsi. Ma non vengono più sanzionate se dopo il primo soccorso invece di dirigere immediatamente in porto ne operano altri. Lo vieta il cosiddetto “decreto Ong”, che prevede sanzioni economiche e fermo in porto in caso di violazione della norma. Non è successo così negli ultimi due casi che hanno riguardato la Humanity1 e la Geo Barents. Il motivo è che i soccorsi sarebbero stati coordinati dalle autorità italiane. Ma è evidente che la presenza delle imbarcazioni delle Ong in un momento di particolare pressione dei traffici di immigrati, fa molto comodo, alleggerendo il superlavoro quotidiano di Guardia costiera e Guardia di finanza. Anche perché in questi due casi il numero delle persone soccorse è stato particolarmente alto. La Humanity1 dopo i primi 36 migranti soccorsi il 30 giungo in area maltese, nella notte successiva ha fatto altri 4 interventi di salvataggio in acque internazionali vicino a Lampedusa. In totale 197 le persone a bordo della nave umanitaria. Tra di esse 30 donne, una delle quali incinta e oltre 40 minorenni. Operazioni analoghe per la Geo Barents di Medici senza frontiere. Dopo un primo soccorso nella serata di lunedì, il team della nave umanitaria ne ha condotti altri tre nella notte, per un totale di 196 persone tra le quali 47 minori non accompagnati, 16 donne e un neonato. Soccorsi importanti di tante persone fragili, duramente provate dal viaggio. Oppure la Humanity1 è stata mandata nel porto abruzzese di Ortona, lontano 1.300 chilometri, la Geo Barents in quello toscano di Massa Carrara, distante più di mille chilometri.

Insomma pugno duro per gli approdi ma non per i soccorsi, evitando le sanzioni che hanno colpito nei mesi scorsi varie Ong, come la Louise Michel, la Sea Eye 4 e la stessa Geo Barents, proprio per i soccorsi plurimi, ora invece accettati e coordinati. Resta, purtroppo, l’incredibile scelta degli approdi lontani, mentre le motovedette e perfino i mercantili coinvolti nei soccorsi vengono fatti sbarcare a Lampedusa, in Sicilia o al massimo in Calabria. Un’azione legale contro questa strategia messa in atto dal Governo italiano è stata annunciata dalle Ong tedesche Sos Humanity, Sea Eye e Mission Lifeline, perché “la pratica dell’Italia di assegnare sistematicamente porti distanti pone un evitabile rischio alla loro salute”. Intanto è ripresa con forza la rotta turca, rallentata dopo la strage di Steccato di Cutro del 26 febbraio e anche dalla campagna elettorale in Turchia. Dopo la vittoria/riconferma del presidente Erdogan i “rubinetti” si sono nuovamente aperti. Lo dimostrano le 15 barche arrivate da allora, poco più di un mese. Una ogni due giorni. Dieci a Roccella Jonica, cinque a Crotone, in tutto più di 1.600 persone. Tutti soccorsi dalle motovedette della Guardia costiera, in alcuni casi col supporto dei mezzi della Guardia di Finanza, di Frontex e di alcuni mercantili. Soccorsi spesso difficili, cominciati a molte miglia dalla costa calabrese, a conferma del cambiamento delle modalità di intervento, sempre più al largo, per evitare nuovi naufragi, come quello di quattro mesi fa sul quale sta ancora indagando la procura di Crotone. Dunque, malgrado la strage, per la rotta turca il 2023 è sicuramente un anno record. Solo a Roccella gli arrivi sono stati 26 con circa 4mila persone, il doppio dello stesso periodo dello scorso anno. E nel periodo meteomarino più sfavorevole.

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