«Per le chiese, è persino peggio dell’Aquila». Il verdetto raggela ma Egidio Marchione, ingegnere dei vigili del fuoco, ne ha visti tanti di terremoti. C’è da credergli quando dice che si può ancora salvare la facciata di San Francesco, tutto quel che ne resta, e c’è da credergli quando tira le somme dei danni subiti dal patrimonio religioso. «A fare impressione sono tutte queste chiese implose o sventrate e le tante lesioni che non sono evidenti dall’esterno ma che, quando entriamo, si rivelano talmente estese da rendere difficile persino il puntellamento» racconta, accompagnando con lo sguardo i suoi ragazzi che salgono per la prima volta sul tetto dell’oratorio della Beata Vergine della Porta. «Il timpano si stacca!» urla uno di loro dal cestello della gru. Marchione spiega a Carla di Francesco, direttore regionale del ministero dei beni culturali, che le cose si complicano, che il piccolo campanile della Madonnina, la chiesa cara ai mirandolesi, si può cerchiare ma che la cupola e il resto dell’edificio richiederanno tempo, fatica e soldi, che la scossa del 29 maggio è stata più deleteria di quel che appare da quaggiù...Ci troviamo in piena zona rossa, eppure le case del listone, il corso che porta dal Municipio alla Madonnina e al Castello dei Pico, sembrano appena ristrutturate. «Sembrano, appunto, perchè da questa posizione vediamo solo le facciate» mette la mani avanti l’ingegnere. L’ottimismo dell’assessore ai lavori pubblici del Comune, Sauro Prandi, però non si spegne: vorrebbe riaprire la strada in due settimane e la Di Francesco è favorevole, perché «quando la gente si riappropria del centro storico anche la ricostruzione dei monumenti accelera». A dire il vero, a due settimane dall’ultima grande scossa tutto è fermo. Mancano le risorse e manca una regia, lamentano in molti. I lavori di messa in sicurezza vanno a rilento, col rischio che salti il patto sociale tra gli emiliani. La scelta di abbattere due campanili pericolanti ha scatenato le polemiche tra gli storici dell’arte ma ha fatto emergere anche la sottovalutazione del danno subito dal patrimonio religioso. È già il fanalino di coda nel riparto dei fondi e rischia di diventare il capro espiatorio dello stallo, giustificato con la vicenda dei campanili pericolanti che terrebbero in ostaggio i centri abitati, impedendo agli sfollati di tornare a casa. Le torri ferite sono un centinaio e una quarantina pone problemi di incolumità pubblica - qualche sindaco, che ha dovuto chiudere strade e piazze, è tentato di risolvere il problema con le ruspe - ma nei fatti si tratta di poche decine di campanili martoriati che, con la loro solitaria fragilità, accusano la macchina dell’emergenza di non avere ancora una strategia.Entriamo nel centro storico di Mirandola, congelato un minuto dopo la scossa, e ci imbattiamo in altre spedizioni. Sono i mirandolesi, rivedono per la prima volta la loro casa, si infilano veloci negli usci, scortati dai vigili del fuoco, per riprendersi qualche pezzo della vita di prima. Questione di minuti, perché se arriva la scossa… Chi fugge con una borsa di vestiti, chi insiste per portar via una pianta. Le donne piangono a dirotto. Gli uomini imprecano nella lingua dura e carnale della Bassa. Le costruzioni civili hanno tenuto meglio dei monumenti. Sono poche le "spanciate". Non c’è posto migllore di una città terremotata per cogliere l’importanza della pietra d’angolo: «La statica è questione di spigoli, è lì che si scarica tutta la forza di un terremoto; conta come sono costruiti i collegamenti e conta la loro elasticità» spiegano i vigili del fuoco. «In base alle prime ricognizioni - aggiunge Giorgio Procaccini, che coordina una delle squadre inviate dall’ordine degli ingegneri delle Marche per le verifiche di agibilità - le murature sono buone, ma i tetti sono fatti male, semplicemente appoggiati sopra le case. È lo stesso problema dei capannoni: sul piano costruttivo, qui non si sa cosa siano le forze orizzontali, non si era abituati all’idea del sisma e le costruzioni sono carenti in ammorsamenti e catene. Rispetto all’Aquila, però, le murature sono in mattoni e non in sassi, il che ha comportato comunque una maggiore tenuta alle sollecitazioni telluriche».