Mino Martinazzoli, il politico bresciano che traghettò la Dc verso il Ppi - Ansa
Un intervento dell’ultimo segretario popolare ripercorre il senso di quei convulsi giorni del 1994 che portarono anche alla fine della Dc. E dell’iniziativa che fu intrapresa da Mino Martinazzoli in un clima di diaspora generale.
Centocinque anni fa, con l’appello “Ai liberi e Forti” di Sturzo, nasce il Partito Popolare Italiano, trenta anni fa con l’appello “A quanti hanno passione civile” di Martinazzoli, in qualche modo rinasce il Ppi, senza rinnegare la Dc di De Gasperi. Il 18 gennaio è, dunque, un giorno importante per fare memoria della cultura e della tradizione politica del popolarismo che, partendo dall’Italia, ha segnato diversi modelli contemporanei di democrazia, in Europa e non solo, penso al Cile ad esempio e allo stesso, pur prudente, tentativo di Sturzo di promuoverlo persino negli Stati Uniti. E, peraltro, il popolarismo non è mai stata un’ideologia, ma un pensiero aperto, un modo di realizzare, una postura di chi lo praticava («il programma si vive»), una concezione dello Stato («per noi lo Stato non è il primo etico,...»), un’idea di nazione («per noi la nazione non è un ente spirituale assorbente la vita dei singoli»).
«Il partito popolare per Sturzo è un partito di libertà economica, che ha il senso della complessità della società e che cerca di creare istituzioni che interpretino la complessità,che ha il senso degli antenati e dei figli» (Nino Andreatta).
«Le basi del partito popolare furono estese, non soltanto contadine, ma anche piccola e media borghesia professionale e artigiana, dal Veneto alla Toscana alla Calabria e alla Sicilia…» (Gabriele De Rosa).
«Il popolarismo fu qualcosa di più di un partito, fu uno strumento di lettura della società, uno strumento di ricomposizione del tessuto sociale» (Francesco Malgeri).
«Il Ppi fu strumento di trasformazione del vecchio modello costituzionale del “governo di gabinetto”, con presidenti del Consiglio nominati dalla corona, alla nuova forma di “governo parlamentare”» (Nicola Antonetti). «…è una modalità di guardare, di vedere le cose e la realtà, …(poiché) al di là della politica c’è un residuo immenso…» (Aldo Moro).
Si potrebbe evidentemente continuare con altre citazioni, ma credo non sia necessario, per raccogliere il significato profondo di una cultura politica che continua a parlarci: rimando, per chi voglia approfondire, alle due relazioni di Martinazzoli, del 18 e del 22 gennaio 1994, perché a me sembrano il tentativo più alto di contemporaneizzazione di un pensiero politico di quasi un secolo prima. Non senza aver osservato con un certo piacere che nelle ultime settimane si sono moltiplicate sigle e iniziative che rievocano questa storia a fini elettorali più contingenti: seppur in ritardo, seppur imprevedibilmente per alcuni, ben vengano tutti. A tutti noi vorrei peraltro ricordare che «non c’è migliore omaggio ai maestri che il non ripetere semplicemente quello che essi hanno detto e compiuto, ma cercare di inventare e costruire il nuovo, come hanno fatto essi stessi nel loro tempo» (Pietro Scoppola).
E la diversità fondamentale fra quei tempi (1919 e 1994) e l’attuale a me pare si possa cristallizzare in una osservazione: allora i partiti venivano fatti dalla storia (Bodrato), oggi invece vengono fatti dalle mode e dai sistemi elettorali, entrambi, per ragioni diverse, imprescindibili. Ragionare e comportarsi come se non esistessero in particolare le gabbie di leggi elettorali, criticate a parole ma ampiamente condivise nei fatti dalle segreterie di tutti i partiti, significa mortificare ogni pur legittima iniziativa.
A questi due condizionamenti si dovrà aggiungere quello della conoscenza della realtà. Papa Francesco, più moderno della maggior parte di noi che ci occupiamo di questi temi, ci ricorda che la «realtà è più importante dell’idea». Conoscere la realtà significa sapere ad esempio che «da tempo il voto dei cattolici va di pari passo con l’orientamento politico della maggioranza degli italiani: nel 2018 il più votato era il M5s tra chi andava a messa tutte le domeniche, nel 2019 era la Lega. La fede come la politica è un frammento di identità che non comunica con gli altri» (Nando Pagnoncelli, Ipsos). Ciò significa che ci si deve rassegnare alla situazione? Niente affatto, anzi, bisogna avere l’ambizione di modificarla. Ma, allora, discutiamo cosa e come si possa fare. Purtroppo non ho qui lo spazio per dilungarmi. Mi limito a osservare ad esempio che se, di fronte ai focolai di guerra in corso, che stanno allargandosi spaventosamente, producendo migliaia e migliaia di morti incolpevoli, e lo sconvolgimento degli equilibri del mondo, anche i politici cattolici lasciano solo il Papa a testimoniare una posizione di assoluto realismo e buon senso, perché preferiscono discutere della partita delle capoliste alle elezioni europee, sarà difficile che essi possano migliorare il loro appeal elettorale. (Forse dovremmo tutti rileggere il capitolo 75 della “Gaudium et Spes” e il cap. VIII della “Lumen Gentium”. E anche il cap. XIII (“La eliminabilità della guerra”) del libro che Sturzo scrisse in inglese nel 1929, “La comunità internazionale e il diritto di guerra)”.
Pierluigi Castagnetti è stato l'ultimo segretario del Ppi (dal 1999 al marzo 2002), oggi è presidente dell’associazione “I Popolari”