martedì 22 ottobre 2019
Richiesto il place of safety per la seconda volta. E sul ponte tra le persone soccorse tante le domande su cosa ne sarà di loro. La nave di MSF e Sos Mediterranee tra Malta e Lampedusa
Ocean Viking ancora senza porto: «Quando arriveremo in Europa?»
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"Quando arriveremo in Europa?". "E quanto tempo ci vorrà?". "In quanti andremo in Francia e in Germania?". "Ma dove siamo adesso?". Sul deck della nave Ocean Viking le domande si rincorrono, ma la risposta che si aspetta da oramai più di 48 ore sull'assegnazione di un porto di approdo sicuro non è ancora arrivata. L'equipaggio di Medici senza Frontiere e Sos Mediterrannee ha nuovamente inviato richiesta formale, dopo il primo tentativo domenica, andato senza risposta, per avere l'assegnazione del cosiddetto place of safety alle autorità marittime de La Valletta e di Roma.

Mentre la nave umanitaria è in attesa, posizionata in modo equidistante tra Malta e l'Italia, nel porto di Pozzallo, in Sicilia, sono state fatte approdare oggi le 68 persone, soccorse al largo delle piattaforme petrolifere dal rimorchiatore Asso29 e poi trasbordate sulla Nave Diciotti della Guardia Costiera italiana.

Ora toccherà alla Ocean Viking o si assisterà a un'altra odissea umanitaria? L'interrogativo resta aperto, anche se finora il silenzio nelle comunicazioni non fa sperare in una soluzione in tempi rapidissimi per le 104 persone soccorse e per l'equipaggio a bordo.

La nave Ocean Viking è lunga 69 metri e ha solcato il mare del Nord, è quindi ben attrezzata e adatta a resistere alle intemperie che sono previste nei prossimi giorni; quello che preoccupa, però, sono soprattutto le condizioni psico-fisiche delle persone soccorse venerdì scorso. Il coordinatore dell'equipé medica di Medici senza frontiere ha rilevato alcune infezioni della pelle che vanno curate rapidamente e sono dovute alle pessime condizioni igienico-sanitarie dei centri di detenzione in Libia, da cui sono transitati quasi tutti, chi per un anno e più e chi solo per qualche mese. Fa eccezione l'odissea migratoria delle persone originarie del Bangladesh che 4 anni fa avevano scelto la Libia per poter lavorare e poi hanno visto peggiorare le condizioni sotto i loro stessi occhi: "Alcuni di noi hanno lavorato nell'edilizia, altri si occupavano di pulizie o lavoravano come domestici" spiega quello che parla meglio inglese del gruppo. A Tripoli sono arrivati con l'aereo, ma se ne sono dovuti andare per lo scoppio della guerra civile. "In Libia le nostre vite non erano più al sicuro sotto le bombe, prima subivamo comunque continui furti, venivamo picchiati anche per la strada e se non avevamo soldi con noi, venivamo sequestrati arbitrariamente fino a che un amico non consegnava dei soldi per la nostra libertà, ma ora con la guerra civile in strada si rischia di morire", e per fuggire dalla Libia l'unico modo è prendere il mare, giocando alla roulette russa dei gommoni.

"Se sali su un rubber boat ti possono succedere solo tre cose - spiega Vieux raccontando anche lui delle torture nella prigione di Al-Khoms - la prima muori annegato, la seconda viene riportato nei centri di detenzione libici, e la terza riesci ad arrivare in Europa". La Libia è lontana solo geograficamente, perché nelle parole delle persone a bordo e nei loro ricordi, invece, è sempre presente: una delle donne nigeriane parla un inglese concitato e difficile da comprendere, ma quello che è chiaro - perché lo ripete in modo ossessivo - è che la Libia è stato l'inferno sulla terra per lei e per sua figlia.

Sul deck della Ocean Viking la cartina dell'Europa è diventato il punto di ritrovo più affollato: a fianco sono state posizionate anche due lavagne su cui sono state annotate alcune frasi in inglese, per una conversazione basica, nella quale si sono cimentati i 40 minorenni che si trovano a bordo. Gli altri uomini si sono dati il cambio per il taglio dei capelli: "Ci sono dei barbieri tra voi?" è stata la domanda che ha posto lo staff di Medici senza frontiere e Sos Mediterranee. E subito, dopo la distribuzione della colazione, sono arrivati i volontari che con il rasoio hanno regolato capelli e baffi a tutti gli altri. Le donne nel frattempo si sono lasciate andare a canti e danze mattutine, mentre le piccole a bordo oramai raccontano a tutti di voler diventare da grandi ostetriche o dottoresse, e chissà se in missioni umanitarie come quella che ha ridato loro la gioia di giocare.

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