L’Istat le chiama “nuove forme familiari”. Ma di forme, con contorni e sagome precisi, in realtà non se ne intravvedono. Anzi. Se si potesse condensare in due parole il quadro fotografato alla vigilia del censimento nazionale, quelle più azzeccate sembrerebbero "confusione" e "solitudine".Fatto salvo un saldo del 36,4% di famiglie normali, cioè coniugate e con figli, il resto appare segnato dall’incertezza, dall’instabilità, dalla non scelta. Dodici milioni di persone – queste le cifre impressionanti snocciolate dall’Istat – che si dibattono tra la condizione di single, monogenitori, coppie non coniugate, oppure che si sono staccate dalla prima famiglia e, dopo la separazione, scelgono di vivere con qualcun altro. Nuovamente, senza scegliere alcuna “forma” per questa nuova famiglia. Si tratta del 20% della popolazione, tanto per intendersi, quasi il doppio rispetto al 1998. Ed è solo il dato emergente di una ricerca che racconta di un Paese ammalato di separazione e solitudine.
Soli. Fra le “nuove famiglie”, quelle più numerose sono costituite dai single non vedovi, cioè da un solo componente. Questi ultimi raggiungono i 4 milioni e 157mila, sono maggiormente presenti al Centronord e sono soprattutto uomini (55,3%). Rilevante anche il peso dei monogenitori non vedovi: sono 3 milioni e 260mila persone e, in questo caso, sono in gran parte donne (86,1%).
Incerti. Quanto alle cosiddette “unioni libere”, le convivenze, queste sono invece 881mila (5,9% del totale) e coinvolgono un totale di 2 milioni e 523mila persone, considerando sia i genitori che i figli. Una pratica, quella della convivenza, che l’11,5% della popolazione italiana ha sperimentato nella propria vita (approdando in oltre la metà dei casi al matrimonio e, nella restante parte equidivisa, o a una situazione di stasi oppure alla fine della relazione). E che sempre più spesso si lega alla scelta di vivere in affitto (lo fa il 44,4% delle coppie e se il 28,9%, guarda caso, si sposta nel raggio di un chilometro dalla famiglia di origine, l’8,2% va addirittura a co-risiedere con i genitori di uno dei due). Secondo l’Istat la “scelta” di non scegliere la famiglia tradizionale dipende da sentimenti che “spiazzano” le coppie e che quindi vanno messi alla prova: la quota di coloro che convivono perché indecisi se sposarsi è pari al 36,7% mentre quella di chi non aveva previsto di sposarsi è pari al 17,6%. Le convivenze, poi, sono molto più diffuse al Nord e nelle aree metropolitane (con un gap che va da un massimo del 16,7% al Nordest a un minimo di 4,4% al Sud) e durano di più che in passato, in media oltre i due anni.
Ricostruiti. C’è poi il capitolo “andata e ritorno”. Quello cioè che riguarda i separati con figli che scelgono – di nuovo – di sposarsi e uniscono i rispettivi nuclei in uno. Sono 629mila, per un totale di 1 milione 972 mila persone, e se nel 37,9% dei casi ci vivono figli di entrambi i partner, nel 12,9% vivono figli nati sia all’interno della nuova che delle pregresse relazioni di entrambi i partner. Infine, nell’8,6% delle coppie ricostituite si trovano figli solo della madre contro l’1,5% dei casi solo del padre.
Pendolari. C’è poi il capitolo “lontananza”, quello cioè inerente le famiglie separate da scelte di lavoro, di studio o di bisogno. Nel 2009 i pendolari della famiglia ammontavano a 2 milioni 890mila (il 4,8% della popolazione). Il fenomeno riguarda maggiormente i giovani dai 18 ai 29 anni (quasi un milione), ma anche bambini e ragazzi si spostano, per lo più per stare con i genitori (59,6%). E nella metà dei casi si tratta di figli di genitori separati o divorziati.