martedì 18 febbraio 2025
Una aveva 15 anni, l’altra 25: le due tragedie riportano alla ribalta il tema della normalizzazione dell’uso di sostanze da parte dei ragazzi e l’incapacità del sistema dei servizi di intercettarli
A destra una foto dal profilo Facebook di Camilla Savoisin. A sinistra la 15enne Nora Jlassi, morta la settimana scorsa

A destra una foto dal profilo Facebook di Camilla Savoisin. A sinistra la 15enne Nora Jlassi, morta la settimana scorsa - .

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Prima Nora, 15 anni, a Verona. Poi Camilla, 25, a Roma. Si muore ancora di droga in Italia, si muore da bambine e da ragazze, risucchiate nel vortice dello sfruttamento e dello spaccio, o nella dipendenza d’un fidanzato. Si muore di crack, si muore d’eroina. Le storie dietro alle due tragedie avvenute nello spazio di appena una settimana sono diversissime: la piccola Nora bella e difficile, alle spalle l’abbandono della scuola e un giro di amicizie sbagliate che l’aveva portata in comunità, a San Patrignano, quando di anni ne aveva appena 13, poi la prostituzione in cambio di soldi e di cocaina, la stessa cocaina che l’ha uccisa in un appartamento abbandonato delle case popolari di San Bonifacio; Camilla gentile e sorridente, il diploma in un liceo altolocato del centro di Roma, l’iscrizione in un campus hi-tech, la storia d’amore con una ragazzo più grande e con la dipendenza da eroina, la stessa eroina che l’ha uccisa nella casa in cui vivevano, di notte, mentre lui le dormiva accanto. Un filo rosso le tiene unite: c’è un’emergenza dilagante tra i nostri figli e si continua a far finta di non vederla.

Basterebbero i dati (arcinoti) a certificarla: in Italia secondo l’ultima Relazione sulle droghe oltre il 30% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni consuma cannabis e, ciò che forse è più drammatico, il 50% – uno su due – ritiene che fare uso di sostanze non sia affatto un comportamento a rischio. Tradotto nella realtà: proprio perché non fa paura, la droga, ed è considerata “normale”, giovani e giovanissimi «sempre più spesso si fanno di qualsiasi cosa trovano, senza sapere di che cosa si fanno» spiega senza mezzi termini il presidente della Federazione italiana delle comunità terapeutiche Luciano Squillaci. Complice l’accessibilità delle sostanze (ormai reperibili ovunque e a prezzi sempre più modici) e col rischio altissimo, viste le attuali dinamiche del mercato degli stupefacenti, che le sostanze siano tagliate male, o che contengano principi attivi in concentrazioni elevate (ciò che – anche questo un allarme più volte lanciato negli ultimi mesi – avviene sistematicamente proprio per alimentare la domanda). «È per queste ragioni che continuiamo a contare morti – prosegue Squillaci –. Trecento ogni anno, nel silenzio generale, tranne quando una bella foto si presta alla prima pagina dei giornali». Quasi sempre italiani, di sesso maschile, troppo giovani per finire così. Il quadro è sconfortante: il crack (che è un derivato della cocaina) fa furore nel dark web, in discoteca e agli angoli delle strade si fuma alla stregua di sigarette. L’eroina, anche, si fuma o si inala: «Alla normalizzazione del consumo di sostanze hanno contribuito anche le nuove modalità di assunzione – racconta Virgilio Albertini, responsabile dell’Accoglienza a San Patrignano –. È proprio il caso dell’eroina, meno diffusa che in passato: il fatto di assumerla non iniettandosela, cioè non “bucandosi”, la rende se possibile anche più pericolosa di quanto lo fosse negli anni Ottanta».

Nella comunità riminese, dove l’anno scorso sono stati oltre 600 i nuovi ingressi, si ricordano bene di Nora, che è entrata, uscita, rientrata «e che poi abbiamo perso per strada. Con le ragazze per certi versi è più difficile. Nel loro percorso di recupero entra in gioco anche la corporeità – continua Albertini – perché nell’abuso fisico spesso è concentrata la genesi del malessere che le ha portate a drogarsi e attraverso l’uso del proprio corpo si sono abituate a procacciarsi le dosi». Anime fragili, più fragili se possibile. Doveva esserlo anche Camilla, che tutti in queste ore a Roma ricordano come una ragazza dolcissima e solare, giudiziosa: la droga nella sua vita probabilmente era entrata con l’amore, con l’uomo più grande di lei che ne faceva uso. Assieme al metadone, che girava per casa – pare – in quantità smodate, visto che lui s’era rivolto a un Serd per farsi curare. Ed ecco un altro nodo cruciale della questione. Di lui, 35 anni, dipendente da anni, i servizi pubblici avevano traccia. Di lei, niente. «E questo perché i servizi, per come sono strutturati, arrivano a intercettare una minima parte dei casi di dipendenza, il 90% dei quali per altro rappresentati da adulti sopra i 30 anni, già “cronici”» continua Squillaci. Come dire: i giovani, tra cui la droga è così diffusa, ai servizi pubblici restano del tutto estranei. Invisibili, non pervenuti. Alle comunità, invece, arrivano quando è troppo tardi. «Il limite, chiaramente, è del sistema di presa in carico e di gestione delle dipendenze: troppo rigido, ancora troppo concentrato sulla vecchia figura del “tossico”, troppo lento» spiega il presidente della Fict. Non a caso il mondo dei Serd e delle comunità da anni è in prima linea nella battaglia per una riforma del Testo unico sulle dipendenze, fermo al 1990.

La buona notizia (l’unica forse) è che questo impegno sembra per la prima volta essere condiviso anche a livello istituzionale: «Qualche settimana fa siamo stati informati dal governo della decisione di convocare una Conferenza nazionale sulle droghe per l’8 e i 9 novembre a Roma» aggiunge Squillaci. Di più: in vista dell’appuntamento sono in corso tavoli e confronti con gli operatori pubblici e privati «con l’obiettivo dichiarato di arrivare alla stesura di Linee guida programmatiche proprio per intervenire sulla normativa». Si potrebbe ricominciare da capo, insomma, dai programmi di prevenzione che sono scomparsi nel corso degli anni dalle scuole, dall’uso delle nuove tecnologie con un linguaggio capace di raggiungere i ragazzi come in Rete fanno (molto facilmente) gli spacciatori, da un sistema sociosanitario di presa in carico della persona nel suo complesso.

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