Autobotti in Sicilia per rifornire d'acqua le aree più a rischio - .
C’è un quartiere di Caltanissetta in cui l’acqua non arriva da 64 giorni: è Niscima-Poggio Fiorito, alla periferia della città. La pressione non è sufficiente per colmare la differenza di altitudine, dicono da Caltaqua, l’azienda privata che gestisce il servizio, che nei 64 giorni un paio di volte ha mandato le autobotti. Per il resto, gli abitanti devono arrangiarsi con l’acqua minerale, o con le autobotti private i cui costi sono quadruplicati, e arrivano a costare in media 300 euro al mese a famiglia.
Nel resto della città, quando non ci sono intoppi la distribuzione avviene ogni 5-6 giorni, per poche ore, tanto da non consentire agli utenti di riempire le autoclavi e i recipienti di riserva che non mancano in nessuna casa nissena, dove la tradizione della mancanza d’acqua è cronica e quasi secolare. Per gli anziani, i disabili, gli ammalati, è una situazione doppiamente insostenibile, di degrado civile e negazione dei diritti più elementari. Fare una doccia o usare la lavatrice è diventato un lusso da centellinare.
A Caltanissetta non è mai successo che l’acqua potabile arrivi nelle case h 24 e senza interruzioni. Già la distribuzione a giorni alterni, negli anni passati, era stata considerata un successo e consentiva di organizzarsi nella quasi normalità. Ma quest’anno il sistema idrico regionale è andato in tilt, non soltanto a causa della siccità, e nella Sicilia interna la situazione è precipitata. La gestione regionale delle acque è affidata a Siciliacque, una società partecipata, controllata dalla Regione, che dovrebbe gestire le dighe, la ricerca, la raccolta, la distribuzione dell’acqua fino alle porte delle città, dove la distribuzione interna è affidata quasi ovunque ai privati, nonostante il referendum sull’acqua pubblica del 2011. Ma nelle condutture di Siciliacque si perde il 52% dell’acqua prima che arrivi in città, e nelle condutture urbane se ne perde almeno un altro 30%.
Nei 20 anni in cui Siciliacque ha gestito il servizio non sono state interconnesse le dighe, molte delle quali non sono mai state collaudate e quindi non possono essere riempite a pieno carico, buttando a mare l’acqua in caso di abbondanza. Molte dighe sono quasi prosciugate, la fanghiglia è salita fino ai livelli di inquinamento, mentre nelle campagne le colture vanno perdute e gli animali allo stremo, con il rischio di venire macellati per non farli morire di sete, come hanno dichiarato gli allevatori. I tre dissalatori siciliani sono in dismissione da anni. Siciliacque non ha trovato nuove fonti di approvvigionamento, mentre di recente uno studio dell’Ingv, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, con le Università di Malta e Roma 3 ha appurato la presenza di un giacimento di acqua fossile di 17 miliardi di metri cubi di acqua sotto i monti Iblei che potrebbe alimentare le campagne di tutta la Sicilia.
La Regione lo ha appreso dalla stampa. Esiste una cabina di regia regionale, che fa capo alla Protezione Civile, ma agisce in modo autoreferenziale, senza collegamenti con le emergenze del territorio. Il Consiglio comunale di Caltanissetta si è riunito due volte sull’emergenza idrica, anche in forma aperta. Erano stati invitati i vertici della Regione, della Protezione Civile, di Siciliacque e di Caltaqua, i parlamentari: non si è presentato nessuno, certificando l’abbandono delle istituzioni rispetto alle necessità primarie delle comunità, mentre ai cittadini continuano ad arrivare con puntualità le bollette del servizio idrico, salatissime e implacabili.
In Prefettura continuano a riunirsi “tavoli tecnici” con i sindaci del territorio, ma non un litro d’acqua in più è arrivato ad alleviare la sete dei nisseni. Il sindaco Walter Tesauro ha lanciato un appello ai cittadini perché denuncino le speculazioni delle autobotti abusive e rendano disponibili i pozzi privati, con indennizzo, per uso pubblico. Sono stati trovati 20 pozzi intorno a Caltanissetta, ma ancora se ne deve accertare la potabilità. Qualche giorno fa monsignor Giuseppe Marciante, vescovo delegato dalla Conferenza episcopale siciliana per la Pastorale sociale, ha usato parole nette per denunciare la situazione: «Ci siamo lasciati governare e sostenere non più dalla maternità della terra, ma da ingiustificabili omissioni, cattive pigrizie, da sporchi interessi economici e di mercato”».
Citando Danilo Dolci, simbolo della nonviolenza in Sicilia e non solo, il vescovo ha aggiunto : «Sotto il dominio della mafia, l’acqua era diventata un affare e la si elemosinava. Il sociologo fece comprendere che la lotta per l’acqua aveva un alto valore simbolico, come atto di liberazione dal potere mafioso». © RIPRODUZIONE RISERVATA Sopra: autobotti al lavoro in Sicilia per rifornire d’acqua le zone più a rischio. A destra: parcheggio selvaggio sui passi dolomitici