«Non c’era luogo e non c’era giorno più giusto» esordisce il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al teatro municipale di Reggio Emilia, parlando della città che ha dato i natali, il 7 gennaio 1797, al Tricolore italiano come bandiera nazionale.È il discorso che di fatto dà il via ai festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ma adesso è difficile non leggere quelle parole come il segnale di una scelta meditata: quella di affrontare a viso aperto, in un’occasione così solenne, il Governo e la Lega su un terreno che per la maggioranza resta molto insidioso. «Non c’era luogo e non c’era giorno più giusto», per il Quirinale, per chiarire che i simboli non si toccano. Strada sbarrata a chi non riconosce la bandiera, dunque, e nessun federalismo possibile senza un sì consapevole allo Stato unitario. Un messaggio tanto chiaro quanto inaspettato, soprattutto per gli uomini di Bossi. Tanto che la reazione del leader lumbard consente al capo dello Stato di disinnescare sul nascere eventuali polemiche. In serata, infatti, a Forlì, Napolitano torna sui concetti già espressi usando toni più soft: «Occorre superare il centralismo statale con spirito unitario». L’orgoglio e il tricolore I quattro bambini che ascoltano impettiti l’inno nazionale, mentre in Piazza Prampolini va in scena alle 9 del mattino l’alzabandiera, sono solo il prologo di una giornata all’insegna dell’orgoglio nazionale per il presidente. Perfettamente a suo agio nei panni dell’ospite atteso, Napolitano risponde sorridendo e sollevando il cappello alle migliaia di cittadini che l’attendono. «Tieni duro» gli grida un ragazzo. «Benvenuto» scrive su uno striscione un gruppo di studenti marocchini.E poi gli abbracci a un ragazzo disabile, l’applauso al coro di voci bianche che lo accoglie a teatro augurandogli felicità. Se fuori, nella città imbandierata, è già festa, dentro al Teatro municipale il clima è di grande attesa. Napolitano non parla dal discorso di Capodanno, una sorta di appello al Paese affinché si faccia carico della questione giovanile. Il registro del Quirinale non cambia, ma questa volta il cuore del discorso è un altro. La 'dottrina Napolitano' non offre sponde a possibili ambiguità. Destinatari innanzitutto Palazzo Chigi e la Lega Nord. Si parte proprio dal rispetto per la bandiera, a volte usata come pretesto per suscitare divisioni, altre volte addirittura rinnegata da esponenti del Carroccio. «Comportamenti dissonanti, con particolare riferimento all’articolo sulla bandiera tricolore – chiarisce Napolitano – non corrispondono alla fisionomia e ai doveri di forze che abbiano ruoli di rappresentanza e di governo».Non è un mistero che il Colle non abbia per nulla gradito lo scarso entusiasmo mostrato dall’esecutivo nell’organizzazione dei preparativi per i 150 anni. Un discorso che certo non ha riguardato Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che ha rappresentato nell’occasione Silvio Berlusconi, ieri assente, sedendo a fianco del presidente e della signora Clio. Nessun guanto di sfida al partito del Nord Napolitano non si è limitato a ripetere il suo «vivo incitamento a tutti i gruppi politici, di maggioranza e di opposizione, perché nei prossimi mesi si impegnino a fondo nelle iniziative per il centocinquantenario ». Ha fatto di più, sgombrando il campo da possibili equivoci.Ci sono «forze politiche che hanno un significativo ruolo di rappresentanza democratica sul piano nazionale, e lo hanno in misura rilevante in una parte del Paese», a cui «vorrei dire che il ritrarsi, o il trattenere le istituzioni, dall’impegno» di celebrare tale ricorrenza, «non giova a nessuno». L’identikit della Lega è immediato, così come il monito durissimo a evitare ogni pressione, diretta o indiretta, finalizzata a intimidire chi voglia rinverdire i fasti dell’Unità d’Italia. Conseguente, e per questo altrettanto netta, è la conclusione. Un atteggiamento ostruzionistico da parte del Carroccio «non giova a rendere più persuasive, potendo invece solo indebolirle, legittime istanze di riforma federalista e di generale rinnovamento dello Stato democratico». È il passaggio di maggior significato politico, a pochi giorni dalla scadenza fissata da Umberto Bossi, il prossimo 23 gennaio, per l’approvazione del disegno di riforma dello Stato. Il Quirinale non accetterà passi indietro sul principio intangibile dell’unità nazionale, anche a costo di scontentare i duri e puri del partito del Nord. Nessun intento polemico, comunque, come dimostra l’ultimo intervento di giornata. Semmai è l’inizio dell’ultimo negoziato sul tema delle autonomie, per trovare un equilibrio che fino a ieri pareva lontano.