sabato 8 gennaio 2011
Le celebrazioni per il 150esimo dell'Unità d'Italia si sono aperte ieri a Reggio Emilia. Il capo dello Stato ha richiamato i principi e i valori della bandiera e della Costituzione, chiedendone il loro «obbligatorio rispetto» da parte delle forze politiche.
- Bossi: l'unità si festeggia dopo il sì al federalismo
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«Non c’era luogo e non c’era giorno più giusto» esordisce il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al teatro municipale di Reggio Emilia, parlando della città che ha dato i natali, il 7 gennaio 1797, al Tri­colore italiano come bandiera nazionale.È il di­scorso che di fatto dà il via ai festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ma adesso è difficile non leggere quelle parole come il segnale di una scelta meditata: quella di affrontare a viso a­perto, in un’occasione così solenne, il Governo e la Lega su un terreno che per la maggioranza resta molto insidioso. «Non c’era luogo e non c’era gior­no più giusto», per il Quirinale, per chiarire che i simboli non si toccano. Strada sbarrata a chi non ri­conosce la bandiera, dunque, e nessun federalismo possibile senza un sì consapevole allo Stato unita­rio. Un messaggio tanto chiaro quanto inaspettato, soprattutto per gli uomini di Bossi. Tanto che la rea­zione del leader lumbard consente al capo dello Stato di disinnescare sul nascere eventuali polemi­che. In serata, infatti, a Forlì, Napolitano torna sui concetti già espressi usando toni più soft: «Occor­re superare il centralismo statale con spirito unita­rio». L’orgoglio e il tricolore I quattro bambini che a­scoltano impettiti l’inno nazionale, mentre in Piaz­za Prampolini va in scena alle 9 del mattino l’alza­bandiera, sono solo il prologo di una giornata al­l’insegna dell’orgoglio nazionale per il presidente. Perfettamente a suo agio nei panni dell’ospite at­teso, Napolitano risponde sorridendo e sollevando il cappello alle migliaia di cittadini che l’attendono. «Tieni duro» gli grida un ragazzo. «Benvenuto» scri­ve su uno striscione un gruppo di studenti maroc­chini.E poi gli abbracci a un ragazzo disabile, l’ap­plauso al coro di voci bianche che lo accoglie a tea­tro augurandogli felicità. Se fuori, nella città im­bandierata, è già festa, den­tro al Teatro municipale il clima è di grande attesa. Na­politano non parla dal di­scorso di Capodanno, una sorta di appello al Paese af­finché si faccia carico della questione giovanile. Il regi­stro del Quirinale non cam­bia, ma questa volta il cuo­re del discorso è un altro. La 'dottrina Napolitano' non offre sponde a possibi­li ambiguità. Destinatari in­nanzitutto Palazzo Chigi e la Lega Nord. Si parte proprio dal rispetto per la bandiera, a volte usata co­me pretesto per suscitare divisioni, altre volte ad­dirittura rinnegata da esponenti del Carroccio. «Comportamenti dissonanti, con particolare riferi­mento all’articolo sulla bandiera tricolore – chiari­sce Napolitano – non corrispondono alla fisionomia e ai doveri di forze che abbiano ruoli di rappresen­tanza e di governo».Non è un mistero che il Colle non abbia per nulla gradito lo scarso entusiasmo mostrato dall’esecutivo nell’organizzazione dei pre­parativi per i 150 anni. Un discorso che certo non ha riguardato Gianni Letta, sottosegretario alla pre­sidenza del Consiglio, che ha rappresentato nel­l’occasione Silvio Berlusconi, ieri assente, sedendo a fianco del presidente e della signora Clio. Nessun guanto di sfida al partito del Nord Napoli­tano non si è limitato a ripetere il suo «vivo incita­mento a tutti i gruppi politici, di maggioranza e di opposizione, perché nei prossimi mesi si impegni­no a fondo nelle iniziative per il centocinquante­nario ». Ha fatto di più, sgombrando il campo da possibili equivoci.Ci sono «forze politiche che han­no un significativo ruolo di rappresentanza demo­cratica sul piano nazionale, e lo hanno in misura ri­levante in una parte del Paese», a cui «vorrei dire che il ritrarsi, o il trattenere le istituzioni, dall’impegno» di celebrare tale ricorrenza, «non giova a nessuno». L’identikit della Lega è immediato, così come il mo­nito durissimo a evitare ogni pressione, diretta o in­diretta, finalizzata a intimidire chi voglia rinverdi­re i fasti dell’Unità d’Italia. Conseguente, e per que­sto altrettanto netta, è la conclusione. Un atteggia­mento ostruzionistico da parte del Carroccio «non giova a rendere più persuasive, potendo invece so­lo indebolirle, legittime istanze di riforma federali­sta e di generale rinnovamento dello Stato demo­cratico». È il passaggio di maggior significato poli­tico, a pochi giorni dalla scadenza fissata da Um­berto Bossi, il prossimo 23 gennaio, per l’approva­zione del disegno di riforma dello Stato. Il Quirina­le non accetterà passi indietro sul principio intan­gibile dell’unità nazionale, anche a costo di scon­tentare i duri e puri del partito del Nord. Nessun in­tento polemico, comunque, come dimostra l’ulti­mo intervento di giornata. Semmai è l’inizio del­l’ultimo negoziato sul tema delle autonomie, per trovare un equilibrio che fino a ieri pareva lontano.
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