L'arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia stringe a sé la madre del giovane musicista ucciso - Ansa
L'inno alla gioia di Beethoven accompagna la bara bianca di Giovanbattista Cutolo, il musicista di 24 anni, ucciso a colpi di pistola in piazza Municipio a Napoli, lo scorso 31 agosto, da un ragazzo di 17 anni. La scelta è della mamma Daniela Di Maggio che in questi giorni ha chiesto che «ai funerali intervenga la parte sana della città». All’arrivo mamma Daniela posa sul feretro il corno, lo strumento d'orchestra studiato e suonato dal figlio al conservatorio di San Pietro a Majella, e poi si inginocchia fra le lacrime: «Non è giusto che un giovane così meraviglioso sia morto vittima di un balordo privo di valori, voglio giustizia per Giogiò»» dice. In tanti, con lei, gridano “Giustizia”.
Durante l’omelia l’arcivescovo metropolita don Mimmo Battaglia, che presiede la celebrazione con il vescovo ausiliare Michele Autuoro, chiede perdono al ragazzo: «Perché fin dal primo giorno dell’arrivo in questa città mi sono reso conto dell’emergenza educativa e forse avrei dovuto gridare fino a quando le promesse non si fossero trasformate in progetti e le parole e i proclami in azioni concrete. Perdonami – dice - se non ho gridato abbastanza, perdona me e la mia Chiesa se quello che facciamo, pur essendo tanto, è ancora poco, troppo poco». E poi ai tanti presenti chiarisce che il compito per tutti deve essere: «disarmare Napoli, educare Napoli, amare Napoli». Battaglia spiega cosa occorre: «Le pistole si trasformino in posti di lavoro, i coltelli in luoghi educativi, i pugni in mani tese, gli insulti in melodie, concerti, arte, vita».
D’altra parte, invita i giovani a non andare via: «se qualcuno un tempo ha detto “fuggite”, e qualcun altro oggi dice “scappate”, io vi dico: restate! E operate una rivoluzione di giustizia e di onestà. Restate e seminate tra le pietre aride dell’egoismo e della malavita il seme della solidarietà, il fiore della fraternità, la quercia della giustizia». E questo può avvenire grazie all'impegno di ognuno di noi – dice l’arcivescovo - e «con la fiducia nel Vangelo e in tanti come Gioiò che hanno seminato bellezza». «Le lacrime della sua famiglia – ha detto don Mimmo – ci aiutino a pulire i nostri occhi offuscati e vedere che il bene è superiore al male. La parte sana della nostra città è di gran lunga più ampia di quella malata. E proprio per questo è arrivato il momento che si faccia sentire e vedere. Ancora troppi sono i silenzi che fanno male».
L’arcivescovo, commosso e più volte interrotto dagli applausi, ha una parola anche per chi ha sbagliato: «Questa mano l'abbiamo armata anche noi. Con i nostri ritardi, con le promesse non mantenute, con i proclami, i post, i comunicati a cui non sono seguiti azioni, con la nostra incapacità di comprendere i problemi endemici di questa città abitata anche da adolescenti – poco più che bambini – che camminano armati, come in una città in guerra».
A Napoli anche il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che hanno abbracciato a lungo mamma Daniela. Presenti in chiesa anche il governatore della Campania Vincenzo De Luca, il prefetto Claudio Palomba, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. Molti gli esponenti delle istituzioni, tra cui il vicepresidente della Camera Sergio Costa, la sottosegretaria Pina Castello e l'ex ministro della Salute Roberto Speranza. Ai piedi dell'altare è stato esposto anche uno striscione del teatro San Carlo. «La forza della musica per sconfiggere la cultura della violenza e della sopraffazione – spiega il ministro Sangiuliano -. Il ministero della Cultura ha immediatamente finanziato il progetto presentato dall’Associazione Nuova Orchestra Scarlatti lo scorso 2 settembre intitolato “La forza della musica contro la barbarie” per dare un segnale chiaro e duraturo di vicinanza attiva del Governo ai colleghi orchestrali del giovane e alle maestranze impegnate a promuovere e rilanciare il linguaggio universale delle note».
È la sorella di Giogiò, Ludovica, che saluta a nome della città ferita, nella lettera in cui scrive: «Non ti voglio descrivere perché non l'ho mai fatto, mi sono limitata sempre a dire che eri la persona più sensibile. Eri la mia piccola ombra, il gigante buono. Tu sei un uomo d'onore, il migliore. Napoli sei tu, non Mare Fuori o Gomorra».
Battaglia: Giovanbattista, figlio di Napoli, accetta la richiesta di perdono della tua città