Un migrante sbarcato a Lampedusa viene soccorso (Archivio Ansa)
Moses ha alle spalle un lungo viaggio, come tutti quelli come lui. Dal Camerun, alla Libia, alle coste di Lampedusa l’itinerario è simile a quello di molti, ma Moses sembrava destinato sin dalla partenza a fallire: «Già quando ero in Libia sapevo di essere ma-lato, non avevo idea di cosa potessi avere, ma faticavo a respirare, avevo sempre la tosse e un forte dolore al petto. A volte, la notte, pensavo che sarei morto e basta, là, lontano da casa, che mia madre non lo avrebbe mai saputo, che il mio viaggio sarebbe finito così. Ad un certo punto non sapevo più se sperarlo o averne paura, non sentivo più niente».
Eppure, Moses ha la tempra forte: riesce a raggiungere l’Italia, dove gli viene diagnosticata la tubercolosi. «Ero terrorizzato, ma i dottori mi hanno dato degli antibiotici e dopo tre settimane stavo meglio. Ancora non mi sento perfettamente in forze, ma i medici hanno detto che è già un miracolo che sia sopravvissuto».
Purtroppo, la tubercolosi non è l’unico problema di Moses. «Quando sono stato accolto a Bologna, per prima cosa mi hanno iscritto ad un corso di italiano. Lo parlavo meglio dei miei compagni, ma non avevo il coraggio di dire che quasi non sapevo scrivere. Per me era sempre stata una cosa difficile, non sapevo spiegare il motivo. Una brava insegnante ha capito che non ero svogliato o disattento, ma avevo qualche problema. Mi ha indirizzato da uno specialista che ha scoperto che ero dislessico».
Con l’aiuto di strumenti appositi e la vicinanza di una volontaria, insegnante in pensione, Moses impara a leggere e scrivere in poche settimane. «Ero felice. Stavo meglio, stavo imparando delle cose. Non mi ero posto il problema di quanto tempo sarei potuto stare in Italia: pensavo che, una volta arrivato, sarei potuto rimanere per sempre». Invece, dopo qualche settimana, Moses scopre che il suo permesso di soggiorno, per motivi di salute, non è rinnovabile oltre un anno, né convertibile in motivi di lavoro: «Non potrò più restare in Italia, ma non saprei dove andare. La tubercolosi lascia delle conseguenze, non potrò più curarmi».
La volontaria che lo accompagna e che lo aiuta con l’italiano si commuove per lui: «Se Moses non potrà restare in Italia da regolare, avremo fatto tutto questo per niente. È una sconfitta prima nostra che sua. A Bologna siamo fortunati, abbiamo ambulatori come il Biavati che curano tutti, senza chiedere i documenti, ma non si può vivere una vita da irregolare solo perché si è avuta una malattia. Faremo il possibile per aiutarlo».