Giancarlo Galan non vuol andare a fondo. Smentisce ogni accusa per il Mose. E prima di essere ascoltato, domani, in Giunta per le autorizzazioni a procedere, deposita 500 pagine di memoria difensiva. A fondo, invece, ci va il Comune di Venezia. Dopo le dimissioni, una settimana fa, del sindaco Giorgio Orsoni, ieri ha fatto un passo indietro anche il Consiglio comunale, peraltro sollecitando lo scioglimento anche del Consorzio Venezia Nuova. In laguna, dunque, arriverà il Commissario. Punto e a capo, chiede il Pd, azionista di maggioranza, per il cantiere del Mose. No, si vada avanti, insiste Galan, ex governatore del Veneto. Il quale si difende con la stessa determinazione con cui ha portato avanti un’opera che vale il canale di Panama (così ha detto del Mose). «In 160mila pagine di inchiesta non c’è uno che dica che mi ha messo in mano mille euro», protesta. E non prende paura neppure quando, dopo lo sfogo con la stampa, legge le agenzie che gli attribuiscono un’altra ipotesi accusatoria. Nelle carte dell’inchiesta Mose si parla infatti di «cospicue operazioni commerciali nel Sud Est asiatico» nell’ordine di 50 milioni di dollari, trovate in documenti in possesso del “prestanome” Paolo Venuti, il suo commercialista, per le quali emergerebbe «la riconducibilità alla famiglia Galan». Tutto già smentito ancora nei giorni scorsi, fanno sapere gli avvocati del parlamentare, Antonio Franchini e Nicolò Ghedini. Ma Galan soprattutto respinge punto su punto le accuse. L’ingegner Giovanni Mazzacurati sostiene che il Consorzio Venezia Nuova gli avrebbe corrisposto un milione di euro all’anno dal 2005 al 2011. «Un’accusa fantasiosa e infamante. È semplicemente assurdo», replica Galan, che, invece, punta il dito proprio contro l’ex presidente del Consorzio. «Da diverse fonti processuali emerge che molti denari consegnati a Mazzacurati servivano a scopi personali dello stesso, per milioni di euro. Il che – sottolinea Galan – fa pensare che costui abbia usato la fantasiosa storia del milione di euro all’anno quale “copertura” di proprie ingenti appropriazioni». E per quanto riguarda la villa di famiglia, sui Colli Euganei, fa sapere che «sono state dette colossali fesserie». «La casa fu acquistata a un’asta giudiziaria nel 1999 per 300 milioni di lire da un dentista di Pantelleria, dopo che l’asta era andata deserta 15 volte. Io la compro nel 2005 per un prezzo di poco inferiore a un milione di euro, quindi la pago sei volte tanto, perchè era già restaurata, altro che restauro miliardario». E ancora: «Il dentista l’ha restaurata prima, le cifre che ho speso io sono 400mila euro nella parte centrale e 300mila euro, in tutto 700mila euro per i quali ho contratto mutuo per 200mila euro e i lavori non sono finiti nel 2011 ma nel 2007».Di tutto (e di peggio) dice a riguardo di due accusatori, Pier Giorgio Baita, già ad della Mantovani e Claudia Minutillo, la sua ex segretaria. E proprio da tutti costoro prende le distanze il sindaco dimissionario, Giorgio Orsoni, che ieri pomeriggio non ha partecipato all’ultimo consiglio comunale, ma inviato una lettera, dicendo che il suo compito si era concluso già nei giorni precedenti, con le dimissioni, e precisando, quindi, che la sua assenza «non significa dissenso circa la delibera di approvazione del consuntivo» (argomento dell’ordine del giorno), né tanto meno circa la mozione di scioglimento del Consorzio Venezia Nuova. Mozione che è stata approvata. Orsoni, però, ha manifestato amarezza «a fronte della persistente insistenza di chi è interessato a non voler prendere atto della diversa natura dell’inchiesta avviata nei miei confronti». Ieri, intanto, il Tribunale dei Ministri ha interrogato gli ex vertici della Mantovani, l’ad Baita e l’esperto finanziario Niccolò Buson, relativamente a possibili responsabilità da parte dell’ex ministro Altero Matteoli, che secondo l’accusa della Procura sarebbe stato legato ad interessi economici illeciti nell’ambito di opere per abbattere l’inquinamento nell’area di Marghera. Baita ha confermato quanto detto alla Procura veneziana: i buoni uffici di Matteoli avrebbero indotto l’allora presidente del Consorzio a far partecipare alle opere la “Socostramo” di Erasmo Cinque.
Botta e risposta tra l'ex governatore e i giudici. Comune, ultimo atto: si sciolga il consorzio. Ora anche la grande barriera rischia di essere paralizzata.
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