La premier Giorgia Meloni - Ansa
Se Viktor Orbán farà il suo ingresso nei Conservatori europei (Ecr) dopo il voto di giugno, il partito francese Reconquete, fondato da Eric Zemmour, entra subito e dalla porta principale nella “famiglia politica” presieduta da Giorgia Meloni. E se due indizi fanno una prova, la strategia della premier italiana è ormai definita: allargarsi a destra per formare un gruppo numericamente superiore a Identità e democrazia - in cui milita la Lega - e a Renew, la formazione che ha come guida il presidente francese Emmanuel Macron. In palio il terzo posto nell’Europarlamento, che vorrebbe dire, nelle intenzione della premier italiana, diventare interlocutore per formare una maggioranza a Strasburgo.
È una partita a scacchi, quella di Giorgia Meloni. Ingoiare formazioni più a destra di Fdi, e dai profili decisamente controversi, provando poi a farle digerire al Partito popolare europeo. Ma ogni stretta di mano a leader sovranisti e nazionalisti costa alla premier un avvertimento, una mezza minaccia o una presa di distanza da parte dello stesso Ppe. E la allontana in modo ancora più radicale da Renew e dai Socialisti europei: perché se è vero che in linea di principio i Conservatori non vorrebbero avere niente a che fare con i liberali e con il gruppo in cui milita il Pd, nei fatti è ai limiti dell’impossibile comporre un nuovo euro-equilibrio senza di loro. Quindi la premier si muove su un filo sottile: far incassare eletti a Ecr nei Paesi Ue dove è più debole, ma mantenendo un’immagine che le consenta di tenere il filo con il Ppe, vero pilastro dell’architettura europea.
Il fatto, intanto. Ieri i Conservatori europei hanno aperto le porte all'eurodeputato Nicolas Bay, membro del partito francese Reconquete, fondato, appunto, da Eric Zemmour, scrittore e giornalista accusato più volte di incitamento alla discriminazione razziale e all’odio contro i musulmani, gravato anche da una recente condanna. Nel 2021 si fece notare anche per una dichiarazione secondo cui le Regioni del Nord Italia «sarebbero dovute essere francesi», come ricorda il macroniano italiano Sandro Gozi.
A tessere la tela Nicola Procaccini, eurodeputato di Fratelli d’Italia e co-presidente del gruppo Ecr. Tocca a lui accogliere Bay alla presenza di Marion Marechal, vicepresidente di Reconquete e nipote di Marine Le Pen.
«Noi dialoghiamo con alcune delegazioni di Id e di Renew, ma non con Afd e macroniani», è la linea rossa tracciata da Procaccini. A confermare che i futuri equilibri dell’Europarlamento sono ancora, a suo parere, tutti da scrivere. Ovvero, dopo il voto potrebbe esserci un netto avvicinamento proprio a Rassemblement nationale di Marine Le Pen e ad alcune componenti liberali che non condividono la linea “turboeuropeista” di Macron.
Dal Ppe, come accaduto anche con il mezzo annuncio di ingresso di Orbán nell’Ecr, trapela gelo. Ma non escono parole compromettenti e definitive. Parole che invece arrivano dai macroniani e dalla delegazione del Pd. «Ma la presidente della Commissione cosa pensa della sua amica Meloni che abbraccia Zemmour?», è la domanda che lancia Pina Picierno. In realtà, sinora Meloni ha sostenuto che il voto alla Commissione (e all’eventuale bis di Von der Leyen) sarà frutto di accordi intergovernativi e non parlamentari.
Ma con chi “ti accompagni” non è irrilevante a Bruxelles. E tornando ad Orbán, ad esempio, è difficile derubricare a poca roba la nuova procedura d’infrazione verso l’Ungheria per violazioni del principio di democrazia e dei diritti elettorali intravisti in un provvedimento con cui Budapest vorrebbe “difendersi” da interferenze estere.
Insomma, Meloni gioca la partita europea su più tavoli. E mano a mano che si definisce la strada di Ecr, a cascata si determinano le strategie nel centrodestra. È quasi siglato l’anomalo patto dell’Udc con la Lega mentre Fi non riesce ad “allargare”. Anzi, per Forza Italia c’è la grana Sicilia. Lo sgambetto in Consiglio regionale a Schifani sulle province, e le critiche del governatore a Tajani somigliano all’inizio di un regolamento di conti.