sabato 31 agosto 2019
A bordo ancora 34 profughi. Il garante dei detenuti scrive a Conte: urge una soluzione
Volontari portano rifornimenti alla Mare Jonio. Tra loro anche l'eurodeputato Pietro Bartolo (Twitter Mediterranea)

Volontari portano rifornimenti alla Mare Jonio. Tra loro anche l'eurodeputato Pietro Bartolo (Twitter Mediterranea)

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Abou ha buone ragioni per nascondersi sotto la coperta rosa che sul ponte della Mare Jonio condivideva con gli amori trovati dove amore non c’è. Dalle sue parti non è bene che un uomo pianga per affari di donne. Ma Abou non pensa che a lei, non pensa che alla bambina, diventata figlia sua, che la ragazza aveva avuto da un uomo sposato per forza e da cui era fuggita. La guardia costiera ha portato a terra le donne, lui no. La legge è legge.

Si erano conosciuti nella prigione di Tajoura, quella bombardata dal generale Haftar. Ma giovedì sera «la principessa e la nostra bambina», sono stati trasbordati a terra con altri 62. Abou no, perché non sono sposati. E insomma loro sono una famiglia, solo che nessun pezzo di carta lo conferma. Hai paura di non riuscire a rivederle? «Oui», risponde abbassando il capo davanti alla volontaria che ha capito dalle lacrime solo quello che le donne sanno capire anche degli uomini.

Il gommone dei bambini era anche il barcone delle famiglie erranti. Almeno quattro i nuclei nati durante la traversata nel deserto oppure nei lager dei trafficanti. Amori che hanno prevalso sugli aguzzini, non sulla burocrazia. Succede spesso nei lunghi mesi da internati nei campi libici. Vedove che ritrovano un compagno, giovani donne che non si rassegnano alla malvagità e cercano ancora una carezza.
Dai 34 migranti rimasti sulla nave, arrivano risposte a domande inevase.

A lungo si è pensato che i trafficanti adoperino le sevizie per incassare un riscatto attraverso le famiglie delle vittime nei Paesi d’origine. «No, quello succede all’inizio – racconta il maliano neomaggiorenne –, poi ricattano i nostri parenti all’estero. Per me ha pagato 1.500 euro mio fratello che vive in Francia», dice mentre indica altri due passati dall’identico supplizio dei ragazzini: bastonate alle mani, che si possono rompere ma non impediscono di potersi muovere autonomamente.

Un’altra notte arriva al largo di una Lampedusa che nemmeno si intravede all’orizzonte. Incapace del coraggio per una soluzione umanitaria, alla fine la politica spera in una svolta all’italiana. Toccherà infatti ai medici della sanità marittima decidere se bisogna far sbarcare tutti o si può resistere ancora per qualche giorno con il voltastomaco e la brezza che di notte si fa burrasca. Ieri gli ispettori dell’Usmaf, l’Ufficio della sanità marittima, hanno ispezionato la Mare Jonio per stabilire se i 34 (tra cui cinque donne) possono restare sul ponte, sferzati dal vento e in condizioni igieniche diventate impossibili, oppure occorre farli sbarcare subito.

Poche ore prima era stata lanciata l’allerta per «la criticità igienico sanitaria, particolarmente evidente da quando abbiamo effettuato il soccorso con 98 naufraghi», si legge nel messaggio con cui dal ponte di comando si richiedono indicazioni urgenti per chiudere il caso. «Abbiamo rifiuti di otto giorni di navigazione, incrementati in maniera significativa da 48 ore, per la presenza degli indumenti tolti ai naufraghi impregnati di benzina e di deiezioni e successivamente di materiale gastrico per vomito da “mal di mare”».

A ciò – si legge nella richiesta alle autorità – «si aggiunge l’assenza di acqua da circa due giorni per guasto tecnico alla pompa dell’impianto idrico, problema non risolvibile con l’invio di bottiglie d’acqua». Per queste ragioni «riteniamo pertanto che per la tutela della salute dell’equipaggio, del personale di bordo e dei naufraghi, data, in queste condizioni, la possibile diffusione di malattie comunitarie come ad esempio la scabbia (due casi conclamati a bordo) sia necessario ed urgente l’approdo in porto».

Ancora una volta nessuna risposta. A confermare la gravità delle condizioni sulla nave c’è il referto del coordinatore sanitario Stefano Caselli e del medico Donatella Albini, che già ieri hanno firmato un dossier che ha allarmato le autorità a tal punto da disporre il trasbordo, seppure in acque internazionali, del gruppo di bambini, minori non accompagnati e donne in gravidanza. Circostanze confermate anche da Pietro Bartolo. Il medico lampedusano eletto europarlamentare è salito a bordo per un’ispezione che lo ha lasciato senza parole: «Non si può stare qui un minuto di più. È vergognoso», dice.

Il Garante dei detenuti, Mauro Palma, ha scritto al premier Giuseppe Conte sollecitando una soluzione ed esprimendo «sgomento nel vedere le immagini dello sbarco di bambini in tenera età avvenuto nella notte», come hanno testimoniato le immagini in esclusiva di Avvenire e Repubblica, le uniche testate a bordo da una decina di giorni. «Dal 28 agosto, le 98 persone soccorse nel Mediterraneo centrale si sono trovate sotto la completa e diretta responsabilità dell’Italia, Stato di bandiera del vascello e, quindi, sotto la giurisdizione del nostro Paese, titolare in via esclusiva – ricorda Palma – della vicenda. Una situazione che non può e non deve ulteriormente protrarsi». Come dire che dall’indecisione all’abuso contro i diritti umani, manca davvero poco.

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