Il gruppo italiano di pacifisti alla frontiera dell'Ucraina - Giacomo Gambassi
Corre padre Fedele lungo il confine fra la Polonia e l’Ucraina. Non perché fugga da chissà che cosa, ma perché prova a raggiungere una coppia di anziani che sta cercando il punto di controllo dei passaporti per entrare nel Paese attaccato dalla Russia. L’uomo spinge con una mano la carrozzina su cui si trova la moglie, mentre con l’altra trascina una pesante valigia. Il frate minore francescano si alza il saio, accelera il passo e li intercetta. Si presenta. Poi convince il marito a lasciarsi affidare la sedia a rotelle.
Comincia con un abbraccio ai più fragili, proprio sulla frontiera a Medyka, la marcia “fraterna” per la pace dei rappresentanti di trentacinque associazioni della Penisola. Realtà della società civile riunite sotto la sigla Mean che sta per “Movimento europeo di azione nonviolenta”. L’appuntamento è per oggi, lunedì 11 luglio, giorno in cui si celebra il patrono d’Europa, san Benedetto, e si ricorda il massacro di Srebrenica. E avviene a poche ore dalla distruzione di un condominio a Chasiv Yar, nella regione di Donetsk dell’Ucraina orientale, centrato da un missile russo: almeno quindici i morti, secondo le autorità locali, ma si cercano i dispersi.
È la prima manifestazione italiana di cittadinanza attiva che fa tappa nella capitale dell’Ucraina, a Kiev. «Vogliamo essere accanto fisicamente, e non solo a parole, a un popolo aggredito ma poi dire che c’è bisogno anche di una resistenza civile, condivisa, che chiede la fine delle ostilità e che è pronta a impegnarsi nell’incontro. Questa guerra che è in Europa ci riguarda in prima persona e ci domanda di intervenire dal basso», spiega Angelo Moretti, portavoce del Mean.
Il gruppo di pacifisti alla frontiera dell'Ucraina - Giacomo Gambassi
Fra’ Fedele è uno dei sessanta “pacificatori” giunti da tutta Italia: dal Trentino alla Calabria. L’arrivo a Kiev, nella tarda serata di domenica, è segnato dal suono delle sirene anti-missile sulla capitale. E una parte della notte viene trascorsa nel bunker sotto l’albergo che li ospita fino almeno all’1.30 quando l’allarme cessa: alcune ore seduti sulle sedie, con una bottiglietta d’acqua a testa, in attesa di capire quello che sarebbe successo, prima di poter rientrare nelle camere. Niente stop all’incontro, comunque.
L’arrivo a Kiev, nella tarda serata di domenica, è segnato dal suono delle sirene anti-missile sulla capitale. E una parte della notte viene trascorsa nel bunker sotto l’albergo che li ospita fino almeno all’1.30 quando l’allarme cessa - Giacomo Gambassi
È una delegazione eterogenea quella che a Kiev «arriva a mani vuote, senza paura», dice Moretti. Il mondo cattolico è in prima linea e fra gli ispiratori del Movimento: dall’Azione cattolica ai focolarini, passando per sacerdoti e religiosi che si spendono per gli ultimi nelle periferie della Penisola. Poi ci sono i radicali o chi, come Marianella Sclavi, sociologa e attivista di respiro internazionale, è stata una delle prime esponenti di Unità Proletaria dopo la laurea a Trento. «Ci unisce la convinzione che le armi non bastino a risolvere il conflitto – sottolinea la studiosa che è l’anima culturale del movimento –. Vogliamo far capire che l’altro è importante per noi. E intendiamo anche scusarci come europei per non esserci occupati di una situazione di emergenza che comincia con l’attacco al Donbass e l’annessione della Crimea».
Resta segreto il luogo dell’incontro. Per ragioni di sicurezza chieste dall’amministrazione comunale di Kiev che partecipa all’organizzazione. In 150 sanno protagonisti dell’iniziativa: il massimo consentito dalla legge marziale. Metà italiani e metà ucraini. Il tutto frutto di mesi di colloqui. Si confronteranno con le istituzioni locali, a cominciare dal sindaco di Kiev, e con i rappresentanti della Chiesa cattolica in Ucraina, come il nunzio apostolico che interverrà all’appuntamento.