«La decisione non è ancora stata presa». Con questa frase sibillina, il ministro dell’Interno, Sushil Kumar Shinde, ha chiuso l’ennesimo, confuso capitolo della saga dei due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, bloccati in India dal 15 febbraio scorso. A far scattare l’allarme, era stato il quotidiano
Hindustan Times. Citando fonti governative riservate, il giornale ha agitato lo spettro della pena di morte per i militari, a dispetto delle rassicurazioni fornite dal ministro degli Esteri, Salman Kurshid. Appena una settimana fa, quest’ultimo aveva ribadito l’esclusione della pena capitale. Ieri la doccia fredda. Un accordo, raggiunto faticosamente tra i titolari di Interni, Esteri e Giustizia, avrebbe sancito il dietrofront. Dando il via libera alla Nia – la polizia antiterrorismo responsabile delle indagini – di formulare le accusa sulla base della sezione 3 della legge del 2002, in materia di sicurezza marittima. Questa prevede il boia per qualsiasi azione che provochi la morte di una persona in mare. Se i marò fossero incriminati formalmente per l’uccisione dei due pescatori al largo delle coste del Kerala, il rischio del patibolo sarebbe quantomeno concreto, concludeva il giornale. In realtà, secondo altri media la Nia si sarebbe impegnata in segreto a non chiedere la pena capitale, in seguito all’accordo raggiunto con l’Italia. Voci, indiscrezioni, smentite si sono rincorse per tutta la giornata, fin quando dal ministro dell’Interno Shinde non è arrivata la “versione definitiva”.«Riguardo alla questione dei marò (e alla richiesta presentata dalla Nia di incriminarli per il duplice decesso, nrd) – ha detto Shinde – una decisione verrà presa entro pochi giorni». Due o tre al massimo, ha precisato il titolare. Il vertice interministeriale, dunque, si è effettivamente svolta, come sostenuto dall’Hindustan Times. La trattativa, però, è ancora aperta. A causare una certa riluttanza delle autorità a pronunciarsi, sarebbe proprio l’assicurazione data da New Delhi a Roma sull’incolumità di Latorre e Girone. Mentre le speculazioni si moltiplicavano, è arrivato il deciso intervento del governo italiano. Dopo una riunione del Comitato di coordinamento – a cui hanno partecipato, oltre al premier, i ministri degli Esteri Emma Bonino, della Difesa, Mario Mauro, della Giustizia, Annamaria Cancellieri e il sotto-segretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi – Enrico Letta ha affermato: «Sarebbe inaccettabile se le rassicurazioni avute dal governo indiano e dalla Corte suprema non fossero rispettate». In caso di marcia indietro, il governo – ha detto il presidente – «si riserva di assumere, in ogni sede, tutte le iniziative necessarie». L’esecutivo – ha concluso il premier Letta – resterà a fianco dei marò e delle loro famiglie fino a che avremo raggiunto l’obiettivo di riportarli in Italia».