Ora è caduto anche l’ultimo alibi. Con la scomunica dei mafiosi, pronunciata sabato dal Papa sulla piana di Sibari, nessuno può nascondersi più dietro un dito. Per questo, a 48 ore dallo storico pronunciamento, il vescovo di Cosenza-Bisignano e presidente della Conferenza Episcopale Calabra, Salvatore Nunnari, afferma: «La voce del Santo Padre, il suo forte discorso per noi è grazia. Grazia di incoraggiamento e di chiarezza, perché la chiarezza del linguaggio fa sempre bene. E grazia perché ci fa comprendere sempre meglio in che direzione andare».
Il Papa ha chiamato le cose con il loro nome. Qual è la sensazione dopo le sue parole? Il Papa ci ha dato la conferma che certi stili di vita non hanno nulla a che vedere con il Vangelo. Chi vive nella violenza, chi rifiuta ogni conversione è una persona fuori dalla comunione ecclesiale. I vescovi calabresi, fin dal 1977, hanno definito la mafia «disonorante piaga della società». Ora tocca a noi trarre le conseguenze sul piano dei comportamenti pratici.
Quindi, che cosa succederà da oggi in poi? Se i mafiosi sono scomunicati, significa che nella Chiesa non hanno spazio. Mi riferisco al loro eventuale accostarsi ai sacramenti (specie quelli dell’iniziazione cristiana), alla pretesa di fare da padrini al battesimo o alla cresima, al partecipare o addirittura gestire certe processioni, all’inserirsi talvolta nelle confraternite. L’indicazione di Papa Francesco è chiara. Nessun contatto, nessun appoggio anche indiretto o lontano. Aver detto con chiarezza che i mafiosi sono fuori dalla comunione ecclesiale, ci dà forza e coraggio.
Questo significa che anche per rimettere il peccato in confessione occorrerà l’intervento del vescovo? Effettivamente questo dovrebbe essere un peccato riservato, come l’aborto. Ma adesso la questione passa ai canonisti, anche perché nel diritto canonico non c’è più la scomunica a un gruppo, ma a persone concrete. Intanto, però, è richiesto ai parroci e a tutti i sacerdoti il coraggio di escludere i mafiosi da tutti gli atti di cui si diceva prima. Ma naturalmente l’appello alla conversione vale anche per queste persone. Cambiate vita, perché la misericordia di Dio è più grande di qualsiasi peccato.
Il Papa ha chiesto alla Chiesa di impegnarsi di più. C’è un mea culpa da fare? La Chiesa, soprattutto nel passato, non sempre è riuscita a discernere in modo da tagliare nettamente ogni rapporto. Ma da qui a dire che ha sostenuto la mafia o è stata connivente ce ne corre. Ci sono tanti documenti, anche della Conferenza episcopale calabra, che attestano la condanna dei mafiosi, ultimo quello del 2007: 'Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo'. C’è stato il sacrificio di don Puglisi, di don Diana, c’è il martirio feriale di preti che hanno subito insulti e qualche volta violenza da parte delle organizzazioni criminali. Da ora in poi, grazie al Papa, abbiamo più forza nel respingere le richieste che vengono da questo mondo.
Ci sarà qualche iniziativa concreta? Intendiamo formare i futuri preti ad affrontare in maniera adeguata il fenomeno e ad attuare una prassi pastorale in linea con il pronunciamento del Pontefice. La nostra Conferenza episcopale ha istituito nei seminari alcuni corsi per la conoscenza del fenomeno mafioso, che partiranno già nel prossimo mese di settembre. I candidati al presbiterato li frequenteranno nell’ultimo anno di seminario, incontrando esperti sia sacerdoti che laici. A monte però ci deve essere sempre un vescovo che dia forza a questi preti, in modo da non lasciarli da soli a combattere.