Ziyad ha 5 anni e non riesce a capire perché non può più mangiare in mensa con i propri compagni della scuola materna. Soprattutto, Ziyad, come i suoi tre fratelli, non capisce perché, da un mese ormai, sia costretto ad alzarsi quando fuori è ancora buio e a camminare quasi un’ora per andare a scuola mentre la mamma arranca dietro il passeggino della sorellina più piccola. Eppure, il pulmino della scuola passa a pochi metri: «Perché non lo possiamo prendere, mamma?». Hayat non sa come rispondere. La mamma di Ziyad, ma anche di Soufiane (9 anni), Selma (7 anni) e Miriam (2 anni) è una donna forte di 39 anni, nata in Marocco e, dal 2006, residente a Lodi, quartiere San Feriolo, ma questa storia la sta consumando. «Sono molto stanca» dice con un filo di voce, mentre tira fuori dalla borsa i documenti che è andata a recuperare in Marocco ma che, al momento, non valgono nulla. Almeno per i funzionari del Comune, da cui aspetta invano una risposta da più di un mese.
Quando, circa un anno fa, il Consiglio comunale votò il nuovo Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate, Hayat e il marito si attivarono per recuperare i documenti necessari. Da quest’anno scolastico, infatti, per poter continuare a usufruire della mensa e dello scuolabus a tariffe agevolate (2,20 euro al giorno il costo del buono pasto), i cittadini extracomunitari, oltre alla certificazione Isee, come gli italiani, devono produrre anche un documento ufficiale che attesti che, nel loro Paese d’origine, non hanno case, terreni o altre proprietà. Altrimenti, vengono automaticamente messi nella fascia più alta, con un costo di 5 euro al giorno, a figlio, soltanto per il buono della mensa.
Come hanno segnalato le stesse ambasciate e i consolati, in tanti Paesi non è possibile risalire a questo tipo di conoscenze perché, banalmente, non esiste un catasto, men che meno informatizzato. In Marocco no, il catasto c’è ed è lì che Hayat è andata, portandosi dietro tutta la famiglia, «perché non sapevo a chi lasciare i bambini». Tornata in Italia con il suo malloppo di carte, ha fatto fare una traduzione certificata che è stata approvata dalla Prefettura. «In tutto, tra viaggio, soggiorno, marche da bollo e traduzioni, ho speso più di 2mila euro», racconta la giovane mamma, mentre guarda sconsolata il fascio di fogli che, invece, per il Comune di Lodi, non servono a nulla.
Così, da quando la scuola è iniziata, tutti i giorni Hayat, parte all'alba con la sua piccola spedizione per portare i figli a scuola, dove i bambini mangiano il panino portato da casa, in una stanza separata dai compagni. E anche questo è difficile da capire per questi ragazzini, nati in Italia e da sempre residenti a Lodi.
«Io voglio pagare il giusto, come ho sempre fatto, ma non posso spendere 15 euro al giorno di buono pasto – aggiunge Hayat –. Così, insieme a un’altra mamma egiziana con il mio stesso problema, faccio tre chilometri per portare i bimbi a scuola e altrettanti per andarli a prendere. Al pomeriggio tengo a casa quello che frequenta l’asilo perché altrimenti non farei in tempo a recuperare i fratelli alle elementari. Ma così non può andare avanti. Non ce la faccio più».
Ad aiutare questa e altre donne, c’è Latifa Gabsi, tunisina, a Lodi dal 2000 e cittadina italiana. Particolare che è stata la sua "salvezza", visto che, per la mensa della figlia di 4 anni e mezzo, che frequenta la materna, ha dovuto presentare soltanto l’Isee. «Questa vicenda è devastante per i bambini» dice Latifa, mediatrice culturale del doposcuola popolare dell’associazione Pierre, nata negli anni ’70 per i figli degli immigrati dal Sud Italia e oggi attiva con le famiglie extracomunitarie. E di «vicenda tragica» parla anche Ferruccio Pallavera, direttore dello storico quotidiano locale Il Cittadino, che ammonisce: «Siamo all’apartheid». Non vuole commentare la decisione della giunta comunale limitandosi «gandhianamente» a fare «resistenza passiva», Eugenio Merli, dirigente scolastico delle elementari di corso Archinti, dove i bimbi stranieri sono l’80% del totale, che ha predisposto una stanza per la trentina di alunni che si porta il pasto da casa.
Il Coordinamento "Uguali doveri", nel frattempo, ha raccolto 60mila euro in due giorni garantendo così la copertura dei costi aggiuntivi, fino alle vacanze di Natale, alle circa 300 famiglie escluse. Martedì mattina, le associazioni saranno sotto il Comune per un presidio di protesta e per chiedere il ritiro del regolamento. Contro cui l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione Asgi e il Naga hanno fatto ricorso al Tribunale di Milano, che ha fissato l’udienza il 6 novembre. Ciononostante, il Regolamento «rimane in vigore», fa sapere una nota della sindaca Sara Casanova, che ha anche respinto la richiesta di dimissioni, avanzata in blocco dai consiglieri di minoranza.