domenica 23 giugno 2024
Il direttore dell’Ufficio Cei per i Problemi sociali: «Un credente non può impegnarsi mettendo tra parentesi la fede, per coltivare il bene comune servono spiritualità e fraternità»
Don Bruno Bignami: «Il leaderismo fa sempre terra bruciata»
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È un osservatorio speciale quello di don Bruno Bignami. Un osservatorio sulla Chiesa, in qualità di direttore dell’Ufficio nazionale per i Problemi sociali e il Lavoro della Cei. Un osservatorio sulla politica e sulle istituzioni, alla luce di una “delega” che chiede di dialogare con i decisori pubblici e riflettere sullo stato della salute della democrazia nel Paese. Dall’incrocio tra le due prospettive don Bignami ha dato alle stampe “Dare un’anima alla politica” (Edizioni San Paolo, pp. 142, euro 24), nelle librerie da domani. È un contributo che arriva a pochi giorni ormai dalla 50esima Settimana sociale dei cattolici, che si svolgerà a Trieste dal 3 al 7 luglio con l’introduzione del capo dello Stato Sergio Mattarella e la presenza, in conclusione, di papa Francesco.

Don Bruno, la politica vive una crisi espressa da disaffezione e astensionismo: c'è una cura?
La politica domanda partecipazione, che non piove dal cielo. Esige cura e impegno. Per capire cosa c’è che non va potremmo partire da esperienze in crescita come il Terzo settore. Chi si è impegnato in questi anni si è accorto che poteva contribuire al cambiamento sociale, che si poteva migliorare la vita delle persone, che si poteva incidere… Non è avvenuta la stessa cosa in politica, dove il leaderismo, l’autoreferenzialità e le logiche di potere hanno fatto terra bruciata intorno. Molti che si sono avvicinati alla politica sono usciti delusi e scottati. A meno di rassegnarsi a vivere da comparse.


Nel suo libro lei indica la strada della spiritualità e della fraternità: come si traducono nell'agone sociale e politico?
Serve coraggio. Un credente non può fare politica mettendo tra parentesi la fede. Detto altrimenti: il mistero dell’incarnazione e quello pasquale di morte e resurrezione non sono tangenziali alla vita cristiana, ma ne costituiscono il midollo. L’incarnazione comporta la condivisione della storia, la capacità di servire il popolo, di abitare i conflitti. Il mistero pasquale ricorda che non c’è vittoria senza croce. Non c’è bene comune attraverso l’affermazione di sé. Come insegnava il teologo De Lubac, incarnazione, morte e resurrezione dettano il ritmo della spiritualità cristiana in tre tempi: radicamento, distacco e trasfigurazione. Altro che affogare nel dibattito sulla rilevanza o irrilevanza dei cattolici in politica… Lo spirito umano per sbocciare ha bisogno di condizioni che non siano sempre favorevoli.


A Trieste è possibile aspettarsi svolte sul fronte dell'impegno sulla sfera pubblica?
Alla 50esima Settimana Sociale di Trieste si cercherà non solo di tastare i battiti del cuore democratico del nostro Paese, ma si intenderà fare esperienza di partecipazione. Saranno gli oltre mille delegati a tracciare sentieri e percorsi futuri. Serve un di più di ascolto perché ci possa essere una base di proposta. Si può essere fiduciosi...


Tra riforme e questioni sociali e ambientali urgenti non manca lo spazio per uno specifico contributo dei credenti. Manca un metodo?
Sicuramente manca un metodo, ma il Cammino sinodale della Chiesa ha contribuito ad acquisirlo: abbiamo imparato ad ascoltare, a partire dal basso, a esercitarci nel discernimento comunitario, a raggiungere la profondità della conversazione spirituale. Ma non basta. Forse occorre creare luoghi di confronto stabile tra laici sulle grandi questioni sociali del nostro tempo, liberi da ideologie di ritorno. Senza percorsi condivisi è difficile che nascano sogni.


La strada della fraternità come può aiutare anche nel gran caos globale?

Un altro modo per dire la fraternità è la responsabilità circa il bene comune. La Bibbia mostra in Caino e Abele la tragedia della fraternità, che può giungere all’uccisione dell’altro. Il testo sacro non illude. Il samaritano, però, vive la fraternità non tanto di sangue ma per il sangue, ossia per la vita dell’altro. Romano Guardini sosteneva che la democrazia poteva stare in piedi solo sulla fiducia che tutti vogliono davvero il bene comune. Oggi sembra prevalere il sospetto che l’altro cerchi solo il proprio interesse. Si può cambiare paradigma attraverso uno sguardo limpido. Ha ragione papa Francesco: ci salverà la tenerezza, non il potere.

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