venerdì 8 marzo 2024
Nella sua relazione al IX Forum internazionale sulle migrazioni, l'arcivescovo Perego presidente di Migrantes fotografa la nuova mobilità alla luce dei tristissimi scenari geopolitici di oggi
Accessori di vita quotidiana che ricordano la strage di Cutro del 2023

Accessori di vita quotidiana che ricordano la strage di Cutro del 2023 - Ansa

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Promossa dall’Accademia di Studi Mediterranei di Agrigento - l’Istituto di Alta Cultura fondato da Assuntina Gallo Afflitto e presieduto dal vescovo Enrico Dal Covolo- si è aperta giovedì 7 marzo per concludersi sabato 9 marzo nella Sala delle Conferenze di Casa Sanfilippo, al Parco Archeologico nella Valle dei Templi, la “tre giorni” del IX Forum Internazionale sulle migrazioni.
Una quindicina i contributi degli esperti e studiosi invitati, tra i quali il presidente della Fondazione Migrantes l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio Gian Carlo Perego. Dal suo intervento pubblichiamo ampi stralci.


Migrare e restare o ritornare sono i verbi che in qualche modo indicano le condizioni di libertà della mobilità umana oggi. Sono i verbi che ha ricordato Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata del migrante dello scorso anno: “Liberi di partire o di restare”, riprendendo il tema di una Campagna della Cei dal 2017 al 2022, che ha accompagnato il cammino di migliaia di migranti. «Migrare dovrebbe essere sempre una scelta libera, ma di fatto in moltissimi casi, anche oggi, non lo è – scriveva papa Francesco. Conflitti, disastri naturali, o più semplicemente l’impossibilità di vivere una vita degna e prospera nella propria terra di origine costringono milioni di persone a partire». E continuava il Papa: «Al fine di eliminare queste cause e porre così termine alle migrazioni forzate è necessario l’impegno comune di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Un impegno che comincia col chiederci che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo smettere di fare. Dobbiamo prodigarci per fermare la corsa agli armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la devastazione della nostra casa comune». Abbiamo qui indicati da Papa Francesco tre azioni importanti per la libertà di restare o di ritornare.
Primo: fermare la guerra e la corsa agli armamenti.
Già nel 1967, nell’enciclica Populorum progressio, san Paolo VI ricordava che «lo sviluppo è il nuovo nome della pace», e San Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis, vent’anni dopo richiamava che «la guerra e i preparativi militari sono il maggior nemico dello sviluppo integrale dei popoli». E invece la guerra continua. I Paesi nei quali la situazione è più disastrosa in assoluto dal punto di vista conflittuale sono 13: in ordine di progressivo peggioramento, Repubblica Centrafricana, Mali, Iraq, Sudan, Somalia, Ucraina, Russia, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Siria, Yemen e Afghanistan, la striscia di Gaza. Il più recente Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo – ripreso nel Rapporto sul Diritto d’Asilo della Fondazione Migrantes 2023 - dipinge uno scenario sconfortante, con 31 guerre conclamate, intese come situazioni di scontro armato tra Stati o popoli, o confronti armati tra fazioni rivali all’interno di un medesimo paese, e 23 situazioni di crisi sparse per il mondo. Africa e Asia detengono il primato, ma anche il continente europeo non è indenne da tensioni e scontri: oltre alla guerra in Ucraina, scoppiata nel febbraio 2022, l’Atlante segnala situazioni di perdurante crisi, con ciclici eventi violenti, in Kosovo, Cipro e Georgia e la guerra nella striscia di Gaza dall’ottobre 2023.
Il numero di morti nel 2022 per situazioni di conflitto sono stimati da Sipri pari a 147.609. Tra gennaio 2022 e settembre 2023 sarebbero stati quasi 56 mila i morti in Ucraina, e quasi 30 mila in Myanmar. Conflitti nuovi e duraturi continuano a mettere persone in fuga. (…)
Purtroppo, sembra che il racconto dei conflitti dipenda dall’interesse del mondo economico e politico. Ci sono conflitti raccontati ora per ora, giorno per giorno e “conflitti dimenticati” – come titola uno dei Rapporti dedicati alle guerre di Caritas italiana dal 2007.
Con le guerre continua anche la corsa agli armamenti. La guerra e le sanzioni hanno bloccato coltivazioni e scambi con una crescita generalizzata dei prezzi del cibo e delle materie prime a livello mondiale. La crescita delle tensioni tra Stati a livello globale si rileva anche dall’aumento dedicato alle spese per gli armamenti che, secondo Sipri, sono aumentate del 3,7% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 2240 miliardi di dollari, il livello più alto mai registrato. Sono i Paesi europei quelli che hanno fatto registrare un aumento percentuale più alto rispetto all’anno precedente (+13%), mentre la Russia ha incrementato la sua spesa militare del 9,2%.

L'arcivescovo Gian Carlo Perego

L'arcivescovo Gian Carlo Perego - Foto di archivio

Secondo: il neocolonialismo economico: la razzia delle risorse altrui
La seconda causa ricordata da papa Francesco che impedisce alle persone di restare nel proprio paese è il neocolonialismo economico, che al di là del Mediterraneo ha come protagonisti alcuni Paesi europei (Francia, Belgio, Inghilterra…), la Russia, la Cina. Assistiamo non solo a un impoverimento delle risorse dei Paesi dell’Africa, ma a un vero e proprio furto legalizzato delle loro risorse, su cui poi le multinazionali e alcuni Paesi speculano. Anche l’Italia attraverso il cosiddetto “Piano Mattei” vuole ricercarsi “un posto al sole” in nove Paesi Africani (Marocco, Tunisia, Egitto, Algeria, Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico), ma anche in Angola e Ghana, per “lo sviluppo italiano in Africa” – come si legge nella presentazione del Piano avvenuta il 29 gennaio scorso – con le briciole lasciate ai Paesi africani, non coinvolti nel piano. Siamo lontani dal vero e unico ‘Piano Mattei’ del dopoguerra, preparato in Università Cattolica di Milano in quasi dieci anni prima e dopo il ’48 e che aveva visto oltre a Mattei, protagonisti i grandi economisti Vanoni e Vico, Fanfani e la Pira, Saraceno e altri e che pensavano alla cooperazione allo sviluppo dei popoli africani seguendo l’invito di Pio XII nel radiomessaggio natalizio del 1942, secondo il quale il mantenimento della pace dipendeva dallo «scambio di forze, intelligente e generoso, tra forti e deboli». Un piano, l’originale Piano Mattei che voleva trovare «forme alternative all’automatismo del mercato» che era anche accompagnato da una riflessione in Francia di Padre Lebret e del gruppo “Economia e umanesimo”, che insieme hanno ispirato nel 1967 la pubblicazione dell’enciclica Populorum Progressio di San Paolo VI, che raccomandava la stesura di “programmi concertati” , promuoveva la cooperazione nello sviluppo, creando reti anche tra i diversi soggetti educativi, economici, sociali, promuovendo lo scambio, per incrementare la popolazione tra diversi Paesi.
Terzo: la devastazione della casa comune
Una terza causa ricordata da Papa Francesco che impedisce alle persone di restare nella propria terra è la devastazione della casa comune. Nessun intervento di cooperazione è andato nella direzione di favorire un’agricoltura diffusa, a destinare acqua a diversi Paesi poveri, tranne i progetti delle ONG che agiscono nelle comunità e a fianco delle comunità. Nei prossimi 20 anni – come ha sottolineato il Rapporto Asilo 2023 della Fondazione Migrantes - si stima che oltre 250 milioni di persone avranno problemi di approvvigionamento idrico, con conseguente aumento della conflittualità tra i popoli ed esodi di massa. La siccità e già molto sentita in Nord Africa e nel Medio Oriente. In Africa, inoltre, gli scontri per la proprietà dei terreni agricoli e del bestiame incidono su quelle che erano le migrazioni stagionali, le cosiddette transumanze, sostituite oggi da sfollamenti forzati di chi non ha più mezzi di sostentamento. Il caos climatico nel Mediterraneo sta già stressando Paesi estremamente fragili, dove le crisi sempre più spesso mutano in conflitti e flussi migratori forzati. Le questioni ambientali costituiscono sempre di più anche problematiche di giustizia sociale e di diritti, con un impatto reale già sulla vita di milioni di persone nel mondo.
Non possiamo dimenticare che i territori più impattati dai cambiamenti climatici sono gli stessi dai quali i rifugiati scappano a causa dei conflitti armati, dove persecuzioni, violenza e diritti umani negati sono maggiormente perpetrati. Motivazioni che la Convenzione di Ginevra, all’Art.1, menziona per il riconoscimento dello status di rifugiato. In tale scenario, al fine di estendere la protezione internazionale, e necessaria una rilettura del concetto di violenza che deriva anche dalla crisi ecologica e dallo sfruttamento di risorse naturali strategiche, situazioni che a loro volta portano violazione dei diritti.
La libertà di migrare
Questi mali che il Papa ricorda rendono necessaria la tutela del diritto di migrare. Il Mediterraneo, in questi anni, è stata riconosciuta da tanti migranti la strada della libertà di migrare. Il bacino del Mediterraneo – anche in ragione dei numerosi sbarchi, che hanno superato le 150.000 persone lo scorso anno e potrebbero essere altrettanti in questo anno -, nello specifico dove si affacciano Paesi quali Israele, Palestina, Libano, Siria, Turchia e gli Stati dell’Africa mediterranea (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto) potrà vedere un nuovo massiccio movimento di persone. Il Mediterraneo si conferma come un luogo di sfide globali complesse, dove si sovrappongono guerre, interessi per la gestione delle risorse naturali e dei confini. Dal 2021 abbiamo assistito a scene crudeli alle diverse frontiere sia terrestri che marittime dell’Unione europea, dove le persone in fuga da guerre e Stati al collasso (Siria, Iraq, Afghanistan) non sono riuscite a trovare accoglienza lungo la rotta balcanica, le navi con le persone appena salvate in mare sono state tenute fuori dai porti italiani, le persone in fuga fatte prigioniere tra la frontiera della Bielorussia e quella della Polonia. I trattati con la Libia e la Turchia sono risultati uno strumento di negazione della libertà di migrare, con la complicità dei paesi europei, oltre che luoghi di violenza condannati dagli Organismi internazionali. E l’Accordo con l’Albania dell’Italia va nella stessa direzione di semplificazione delle procedure per negare il diritto alla protezione internazionale, oltre che negare il diritto all’unità familiare.
La politica di fermare i migranti, anziché tutelare il loro cammino
E mentre guerre e conflitti, il neocolonialismo economico, la distruzione del creato continuano ad estendersi, rendendo improbabile una imminente contrazione del numero di persone bisognose di protezione, in Unione europea si sta provando a far approvare prima della chiusura della legislatura nel 2024 il Patto asilo ed immigrazione che porterebbe a un’ulteriore limitazione dei diritti dei richiedenti asilo e rifugiati, già negli anni messi a dura prova con l’incremento delle procedure di frontiera e la contrazione dei tempi dei ricorsi e l’estensione delle liste dei Paesi sicuri, senza che d’altra parte aumentassero i numeri dei reinsediamenti o che si aprissero canali legali di ingresso. Un Patto che nuovamente restringe la libertà di migrare e di restare, nega il rispetto della dignità delle persone migranti e apre a nuovi muri, violenze e morti.


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