mercoledì 11 settembre 2024
Giuristi, politici e artisti insieme per un fermo “richiamo” agli obblighi internazionali degli Stati occidentali nella guerra di Gaza e Cisgiordania
Una manifestazione per il cessate il fuoco a Tel Aviv

Una manifestazione per il cessate il fuoco a Tel Aviv - Ansa

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Un fermo “richiamo” agli obblighi internazionali degli Stati occidentali nella guerra di Gaza e Cisgiordania, steso da Pasquale De Sena (internazionalista, già presidente della Società italiana di Diritto internazionale), condiviso da giuristi di primo piano e appoggiato da 400 firmatari da tutta Italia (studiosi, politici, artisti, personalità del mondo artistico e della cultura, semplici cittadini), è stato diffuso martedì 10 novembre (qui: https://fermatevi.it). Qui di seguito ne pubblichiamo il contenuto integrale.

Malgrado un'ampia mobilitazione popolare internazionale, la guerra di Gaza si estende anche alla Cisgiordania, e, a detta del governo israeliano, proseguirà con le stesse modalità che ha assunto finora. È venuto il momento che i governi occidentali, in particolare quelli europei - e, fra questi, quello italiano - si assumano le loro responsabilità. Con l'estensione del conflitto, la dimensione delle violazioni del diritto internazionale sin qui commesse pare destinata ad aumentare, come emerge, del resto, dalla tragica continuazione dei crimini contro l'umanità di Hamas. Il rischio del consumarsi di un genocidio sembra destinato a crescere, come sembrano destinate a moltiplicarsi le violazioni generalizzate delle norme più elementari del diritto umanitario sinora già ampiamente commesse ai danni di civili inermi. Non vi è dubbio, poi, che l'autodeterminazione del popolo palestinese continuerà a essere conculcata, accentuandosi la sua sottoposizione a un regime di chiara segregazione razziale, se non di apartheid.

A tutte queste circostanze, la Corte internazionale di giustizia ha fatto riferimento sia nelle sue ordinanze sull'azione intrapresa contro Israele, dinanzi ad essa, dal Sudafrica, sia nel parere (reso su richiesta dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite) sulle conseguenze giuridiche dell'occupazione israeliana. Qui va sottolineato con chiarezza che si tratta di circostanze che non sono neutre politicamente, e neppure giuridicamente, per gli Stati terzi rispetto al conflitto. Gli obblighi derivanti dal divieto di genocidio, dal divieto di violazioni gravi, massicce e sistematiche dei diritti umani, dal principio di autodeterminazione dei popoli sono obblighi inderogabili ed "erga omnes". Essi sono tutti contemplati dal diritto internazionale generale, oltre che da alcune convenzioni internazionali rilevanti (per esempio, quella sul genocidio del 1948 e quelle sul diritto internazionale umanitario del 1949, di cui gli Stati europei e l'Italia sono parti). In forza di questi obblighi, gli Stati terzi rispetto al conflitto sono tenuti, dunque, non solo a disconoscere le situazioni illecite in cui si traducono le violazioni in corso, ma anche a non prestare alcun aiuto o assistenza a chi le ponga in essere. Ad oggi, però, solo pochi Stati europei, fra i quali non rientra l'Italia, hanno riconosciuto lo Stato di Palestina, adottando una decisione che (seppur non vincolata) esprime il disconoscimento della situazione illecita, creata dall'occupazione israeliana e sancita come tale dal parere della Corte internazionale di giustizia. Inoltre, gran parte degli Stati occidentali, in primo luogo gli Stati Uniti, continuano a fornire supporto militare e finanziario al governo di Israele, malgrado - val la pena ripeterlo - il rischio del verificarsi di un genocidio, il ricorrere di violazioni massicce e generalizzate del diritto umanitario, la persistente e crescente occupazione israeliana di territori palestinesi.

Insomma, va detto forte e chiaro: ai crimini contro l'umanità di Hamas e ai crimini commessi dalle truppe israeliane – oggetto di ben due procedimenti giudiziari internazionali (rispettivamente, dinanzi alla Corte internazionale di giustizia e alla Corte penale internazionale) – si aggiungono oggi violazioni del diritto internazionale meno eclatanti, ma non meno produttive di tragici effetti, commesse da larga parte della comunità internazionale. E va aggiunto che la commissione di tali violazioni, per quanto riguarda l'Italia, si traduce anche nella mancata attuazione di obblighi costituzionali, da parte dello Stato. Ciò perché, in virtù dell'art. 10 della Costituzione, che impone il rispetto del diritto internazionale generale nel nostro ordinamento, i doveri di disconoscimento di situazioni derivanti dalla violazione di obblighi internazionali cogenti ed "erga omnes", e di non cooperazione rispetto alla loro violazione, gravano sugli organi statali, con la forza propria dei doveri costituzionali. Dinanzi a una simile situazione è assolutamente necessario dunque che il governo italiano si metta in condizione di adempiere a tali doveri; che esso faccia chiarezza, anzitutto, sull'opaca questione del trasferimento di armi italiane a Israele, fugando ogni dubbio sorto al riguardo, per
via di accurate, recentissime inchieste giornalistiche; che esso renda conto, in modo altrettanto puntuale, dell'entità e dell'effettiva proporzionalità dell'impegno finanziario italiano a sostegno dell'azione di agenzie delle Nazioni Unite (e di altri organismi internazionali), volta a mitigare la catastrofe umanitaria e a prevenire il verificarsi di un genocidio; che su dette questioni e sul complessivo atteggiamento dell'Italia a proposito delle violazioni in atto e di quelle suscettibili di prodursi, siano puntualmente e dettagliatamente informati, sia l'opinione pubblica che il Parlamento; che il Parlamento sia posto nell'effettiva condizione di dibattere e di adottare una mozione di indirizzo sui comportamenti necessari a dare piena e immediata esecuzione agli
obblighi internazionali indicati, e allo stesso art. 10 della Costituzione.

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