venerdì 8 settembre 2023
Le piste non battute sulla strage dell'Itavia. Bonfietti: chiediamo che l'ex ufficiale e ministro libico sia interrogato. Palazzo Chigi: per muoverci servono "elementi oggettivi"
Una recente manifestazione davanti all'ambasciata francese

Una recente manifestazione davanti all'ambasciata francese - ANSA

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Sono di nuovo i familiari delle vittime della strage di Ustica a chiedere al governo e alla magistratura di tornare a cercare il libico Jallud, ex premier e braccio destro del colonnello Gheddafi, perché possa dire tutto quello che sa sulla notte del 27 giugno 1980, quando il velivolo della compagnia Itavia precipitò al largo di Ustica con 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio.

Come avvenuto in passato, la richiesta è quella di «trovare Jallud - ripete Daria Bonfietti, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime -. Chiediamo che venga interrogato perché possa riferire in merito a quanto Gheddafi aveva sempre sostenuto, cioè, di essere stato la vittima designata quella notte». Jallud era entrato in rotta di collisione con il colonnello e allo scoppiare della rivolta in Libia nel 2011 venne salvato dai servizi segreti italiani e condotto, almeno inizialmente, nella Penisola. «Gli è stato offerto riparo in Italia per difenderlo dai pericoli in Libia - domanda Andrea Benetti, altra battagliera voce dell’associazione dei familiari delle vittime - o per proteggere inconfessabili e compromettenti segreti italiani?».

In passato l’ex politico e militare libico, che fu anche ministro degli esteri e capo dei servizi segreti gheddafiani, è stato segnalato anche in Sardegna, presso una base gestita dall’intelligence italiana non lontano da Alghero, oltre che in Qatar e perfino a Parigi. I rapporti tra Jallud e la Francia erano sempre stati difficili, ma è possibile che l’uomo dei misteri libici possa avere trovato qualche accordo con Parigi, da sempre interessata alle sorti di Tripoli.

Dopo la rivoluzione libica furono i servizi segreti inglesi a entrare in possesso degli archivi dell’intelligence libica. Non è dato sapere se a Tripoli sia rimasta qualche traccia. Perciò i familiari della vittime chiedono al governo italiano di rivolgersi non solo a Parigi, per conoscere l’effettivo ruolo dei caccia francesi in quella notte di guerra aerea sul Tirreno, a anche a Londra oltre che a Tripoli, dove tutti i governi dal 2011 a oggi devono molto, in termini di legittimazione internazionale e sostegno finanziario diretto, proprio all’Italia.

«Non ho sentito Macron» sul caso Ustica, «lo vedrò a breve. Come sapete, sto per partire» per il G20 dell’India, ha detto ieri Giorgia Meloni. «Sto seguendo il dibattito, nessun problema a porre la questione sul piano diplomatico nei confronti dei nostri partner, ma queste cose si fanno sulla base di elementi oggettivi che ho chiesto a Giuliano Amato. Se ci sono elementi, sarò la prima ad agire e muovermi». La premier ha poi aggiunto di attendere perciò questi «elementi oggettivi».

Le parole di Daria Bonfietti e Andrea Benetti tuttavia impongono alla magistratura e alla politica di non accontentarsi di singoli carotaggi, ma di tentare di sfondare quel “muro di gomma” che da decenni impedisce di giungere a una verità la cui ricostruzione difficilmente è ascrivibile al solo ruolo della Francia.

Prima di sparire dalla vista dei media, Jallud aveva rilasciato una dichiarazione sibillina, scegliendo poi di fare scena muta davanti ai magistrati. Come ministro degli Esteri era venuto a Roma e aveva ribadito che l’aereo italiano era stato colpito durante un attacco contro Gheddafi. Parlò anche di un altro Mig, oltre a quello precipitato sulla Sila, che si sarebbe inabissato nel Tirreno. Di certo c’è che quella notte il Mediterraneo fu teatro di una battaglia nei cieli e il Dc-9 vi si è trovato in mezzo. E sapere con quali agenti segreti italiani aveva negoziato Jallud potrebbe far ritrovare altre voci per ora rimaste nel silenzio.

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