Giovanni Biondo, morto a 21 anni cadendo da una scala a Custonaci, in provincia di Trapani. Ora la mamma chiede giustizia
Giovanni aveva 21 anni e lavorava a giornata. Voleva metter su famiglia e aprire un’attività agricola, ma il 7 gennaio è morto cadendo da una scala, mentre potava dei pini a Custonaci, cittadina in provincia di Trapani, famosa per le cave di marmo. Un’attività che, però, non riesce a soddisfare la domanda di lavoro del territorio. E così, tanti giovani se ne vanno. Non Giovanni Biondo, che amava la sua Sicilia e aveva un sogno da realizzare, «ma è rimasto vittima di un sistema spietato, che non fa nulla per cambiare in meglio la nostra condizione», denuncia Cristina Angelo, la mamma di Giovanni. Che ha perso un figlio «per 10 euro». Perché questa era la paga pattuita per ogni quintale di legna tagliata e Giovanni aveva fatto appena in tempo, prima di cadere, ad accatastare i primi cento chili della giornata. Che sarebbero anche stati gli ultimi.
Ora, mamma Cristina non vuole che «la morte di Giovanni sia dimenticata, che sia stata vana». Suo figlio, è il grido di dolore della donna, è rimasto vittima «di un sistema sbagliato», che costringe le persone ad accettare qualsiasi lavoro, a qualunque condizione, pur di portare a casa qualcosa alla fine della giornata. Quando riescono ad arrivarci, a sera. «Ho un altro figlio e un marito disoccupati – racconta Cristina Angelo –. Come posso stare tranquilla sapendo che, anche loro, rischiamo di uscire di casa la mattina e non tornare mai più? La situazione è disastrosa. Di lavoro ce n’è poco e quel poco è senza regole e, soprattutto, senza alcuna sicurezza. Dobbiamo fare qualcosa, perché mio figlio non può essere considerato soltanto un numero di una statistica. La morte di Giovanni deve rappresentare la molla affinché, finalmente, qualcosa si muova. Anche in questa terra che lui tanto amava. Al riscatto della Sicilia aveva dedicato il suo ultimo messaggio su Facebook. Un testimone che voglio raccogliere e portare avanti».
Il racconto della mamma di Giovanni Biondo, caduto da una scala a 21 anni e della figlia di Franco Visinoni, precipitato in un cantiere nel 2007: «Da 13 anni stiamo aspettando un risarcimento»
Anche Ilaria Visinoni è una donna, una figlia con un dolore troppo grande da sopportare, reso ancora più gravoso dai molti anni trascorsi senza avere giustizia. Suo padre Franco è morto nel 2007, cadendo da un’altezza di dieci metri in un cantiere di Viterbo. Il datore di lavoro è stato condannato, in sede penale, per violazione delle norme sulla sicurezza dei lavoratori. «Che erano anche senza copertura assicurativa», ricorda Ilaria. Concluso il processo con il patteggiamento, nel 2012 Ilaria e la madre depositano ricorso al tribunale civile di Viterbo per vedersi riconosciuto il risarcimento previsto. Nel 2015 il giudice ha condannato l’imprenditore a risarcire le due donne che, però, finora non hanno ricevuto nulla. Perché, nel frattempo, l’ex-datore di lavoro non aveva consegnato i beni sottoposti a pignoramento. Costringendo Ilaria e la madre (che vive con la rendita Inail), a presentare un’altra denuncia.
Giovedì il tribunale si pronuncerà con una nuova sentenza, ma la giovane sa già che non basterà. «Per vedere riconosciuti i nostri diritti dovremmo depositare una nuova istanza e andare avanti così all’infinito – sbotta la giovane, esausta dopo 13 anni di attesa – . Ma non è giusto che una famiglia, già duramente provata, sia costretta ad aspettare così tanto per avere giustizia. In casi come il nostro, dovrebbe intervenire lo Stato, con un Fondo per le vittime del lavoro, analogo a quello esistente per le famiglie dei deceduti negli incidenti stradali, a cui poter attingere per far fronte alle necessità quotidiane. Sarebbe un primo segnale di attenzione. Perché se lo Stato fosse stato più attento, se le ispezioni ci fossero davvero, quell’incidente si sarebbe potuto evitare. E mio padre non sarebbe morto».