Ventuno mesi dopo il terremoto non è poi tutto così fermo. Almeno nel cuore degli abruzzesi. C’è voglia di tornare alla normalità, di ripartire da quel poco che il sisma ha lasciato in piedi e soprattutto da ciò che nessun movimento tellurico potrà mai portarti via. Ecco che allora si torna a sperare nel futuro investendo nella famiglia, nel matrimonio, in una creatura che nasce. O più semplicemente riaprendo un negozio in centro storico quando ancora mancano i sottoservizi, anche se significa lavorare e scaldarsi con le bombole a gas. Nonostante notizie sconfortanti, discussioni senza via d’uscita, tecnicismi incomprensibili, piccole furbizie e grandi infiltrazioni, qui continua a regnare l’ottimismo tra la gente.Gli aquilani sono tornati tutti, tra mille difficoltà, e non hanno intenzione di andarsene, per ora. Sono solo 700 infatti i terremotati che nel 2010 hanno spostato la residenza fuori provincia: meno dell’1% dei 73mila abitanti, cioè. Si prova a resistere nella terra natia, insomma, anche in una città totalmente cambiata e in parte distrutta. Ma c’è di più. Nell’attesa di ricostruire le case, si rimettono i mattoni alla propria esistenza. Sono innanzitutto i giovani ad aver dimostrato in questi mesi non solo di voler essere protagonisti della ricostruzione materiale, ma anche di quella sociale. E lo fanno partendo dalla propria vita, scegliendo la via del matrimonio. Loro si sono sposati anche a poche settimane dal terremoto, tra le tende o in un prato davanti ad una chiesa distrutta, riscoprendo il senso più vero della vita di coppia. Nessun matrimonio, infatti, è stato rimandato nel 2009, che si è chiuso con 231 unioni nella diocesi dell’Aquila; ma è il 2010, l’anno in cui nulla era ancora deciso, a dare un segnale importante: 275 fidanzati hanno scelto di stare insieme per sempre. Senza lavoro, senza diritto a case antisismiche, senza contributi, i giovani aquilani semplicemente si sposano e mettono su famiglia, perché «è inutile aspettare che tutto in Abruzzo sia risolto per iniziare a vivere», dicono.Anche le nascite sono in costante aumento rispetto alla media della provincia abruzzese (nel 2008 sono venuti al mondo 1.026 bambini) ed ora si è passati dopo un anno buio (nel 2009 nell’ospedale aquilano ne sono nati appena 573) a superare i livelli pre sisma: 1.166 nati di cui 869 nel nosocomio cittadino, gli altri in quelli più attrezzati della regione.«Quando tutto ti viene tolto – spiega don Nicolò Lombardo, docente di pastorale familiare all’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Aquila – inizi a ricostruire la tua vita sui valori fondamentali e la famiglia è la prima realizzazione dell’affetto. I giovani stanno sperimentando che il matrimonio è il miglior modo per crearsi un futuro solido, che vada oltre i problemi materiali».Amore e famiglia, ma anche determinazione e lavoro. I numeri catastrofici dei cassaintegrati (nel 2010 sono saliti in provincia a 8mila) si affiancano ai buoni risultati dei commercianti che a quasi due anni dal 6 aprile sono riusciti a riaprire in periferia. Il 50%, secondo Confcommercio, ha ripreso l’attività, una percentuale che scende drasticamente nel centro storico, dove solo pochi temerari non appena la zona esce dalla red area ripartono più per sfida che per guadagno. Cesare Copertino lo ammette senza vergogna, lui il suo ristorante in via Garibaldi l’ha re-inaugurato in estate, ma cucina e riscalda il locale come si faceva cinquant’anni fa. «Dovevo ripartire per i miei figli – dice – anche se in inverno spendo 2mila euro al mese di gas, dieci bombole a settimana. Non guadagno, campicchio, non diventerò ricco, ma almeno ci viviamo questa città come possiamo».