Nessuna volontà di scontro con il governo; ma un «gesto simbolico» per dire «basta ad un clima di aggressione nei nostri confronti» e per chiedere «riforme nell’interesse di tutti», al posto di quelle che riguardano «vicende singole e personali» che stanno «mettendo in ginocchio la giustizia». Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, difende dalle critiche, venute soprattutto da governo e maggioranza, la protesta che vedrà oggi i magistrati (con indosso la toga e in mano la Costituzione) andar via dall’aula, quando prenderà la parola il rappresentante del ministero della Giustizia, nelle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario che si terranno in tutti i distretti di Corte d’appello. E assicura, a dispetto della dissociazione dall’iniziativa di Magistratura Indipendente (la corrente più moderata delle toghe e l’unica all’opposizione della sua giunta), che «la magistratura è unita» e che oggi «parlerà con una voce sola». L’Anm spiega che oggi i magistrati non lasceranno le sedie vuote all’Aquila, quando prenderà la parola Alfano. «Noi non manifestiamo contro la persona, ma contro la politica della giustizia», dice Palamara.Ribadisce il no a intimidazioni verso le toghe Nicola Mancino. «L’esercizio della giurisdizione va salvaguardato da ogni forma, scritta o verbale, di intimidazione o di interferenze che ne possano mettere in dubbio il pieno e libero suo svolgimento» dice il vicepresidente del Csm, escludendo l’esistenza di una giustizia «domestica e accomodante» (la sezione disciplinare del Csm, sottolinea Mancino, ha triplicato le condanne delle toghe in due anni).Tocca ad Alfano rammentare che le «logiche correntizie» esistono e che bene farebbe il Csm a scegliere i capi degli uffici giudiziari senza lasciarsi condizionare. Il governo, aggiunge, rispetta l’autonomia e indipendenza della magistratura ma «i giudici sono soggetti solo alla legge e la legge la fa il Parlamento». E dopo aver elencato punto per punto ciò che il governo ha fatto per cambiare la giustizia, Alfano dà l’annuncio più temuto dai magistrati: la separazione di giudici-pm si farà perché, dice, la riforma è «un dovere» rispetto al quale il «Paese non merita la resa». Ma non è l’unica riforma da fare. L’elenco del ministro è lungo: la riforma dell’avvocatura e della magistratura onoraria, la riforma del processo penale all’istituzione del tribunale della famiglia, le innovazioni del Codice civile in materia di contratto di fiducia, la riforma degli enti giuridici. Riforme però «ancora insufficienti» perché, «appare anche necessario procedere alla riscrittura di alcune fondamentali e strategiche regole costituzionali, che, ferma l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, attribuiscano al giudice il ruolo centrale nell’esercizio della giurisdizione e garantiscano un separato ordine dell’accusa, piena autonomia nell’esercizio dell’azione penale, nonché nello svolgimento delle indagini sulle notizie di reato che ad esso pervengano». Il ministro della Giustizia ricorda anche come lo scorso anno aveva formulato «il sincero auspicio di procedere ad una riforma della giustizia il più possibile condivisa», tuttavia «il dibattito politico e istituzionale non sempre si è indirizzato in tal senso».