Giorgia Meloni con il premier giapponese Fumio Kishida - Ansa
Il clima (glaciale oltre le previsioni) che ha accolto Giorgia Meloni a Tokyo è inversamente proporzionale all’accoglienza calorosa, anche oltre la prassi diplomatica, che segna il suo incontro con Fumio Kishida, primo ministro del Giappone. Una visita che nasce per il passaggio di consegne del G7, a segnare un ulteriore tassello della presidenza italiana in questo 2024, e che si legge come un rafforzamento della cooperazione, a partire innanzitutto da quella militare in un’area sempre più «strategica» quale l’Indo Pacifico, come sottolinea la presidente del Consiglio.
Una nevicata accoglie Meloni (in completo grigio) a palazzo Kantei, assieme a un «ciao Giorgia» scandito da Kishima che afferma di accogliere «con favore il maggior impegno italiano» nell’area. La nostra premier ricambia sottolineando a più riprese che questo è il quarto bilaterale in poco più d’un anno e affermando che la presidenza giapponese del G7 nel 2023 «ha fatto un ottimo lavoro in un anno complesso, non sarà facile essere all’altezza, ma avete tracciato un solco su cui è facile lavorare».
Il contesto geopolitico è chiaro: archiviata a fine 2023 l’intesa della Via della Seta con la Cina, è giocoforza per Roma guardare con intensità crescente all’altro grande attore dell’Estremo Oriente, con cui un anno fa è stato impostato un partenariato strategico. A evidenziarlo sono in fondo un po’ tutti gli aspetti di questa missione con un Paese con cui, dice Meloni, ci sono «un’interlocuzione politica di concretezza» e «una forte convergenza di vedute».
Ieri sul quotidiano Yomiuri Shinbun è uscita una lunga intervista a Giorgia Meloni, che nel primo pomeriggio ha voluto poi omaggiare la spiritualità nipponica visitando il più importante santuario scintoista. Poi, nella residenza dell’ambasciatore Gianluigi Benedetti, l’incontro con molte, importanti imprese del Sol Levante: da Mitsubishi a Hitachi, da Ntt a Denso e Mitsui. Infine la tappa a Kantei, per il bilaterale durato circa 40 minuti (sul tavolo l’immancabile tazza di tè verde) e la successiva cena di lavoro con scambio di doni, fra cui un dizionario italo-giapponese di Hello Kitty che Kishida ha dato per la piccola Ginevra, la figlia della leader di Fdi.
Il succo è venuto però nelle dichiarazioni alla stampa, tutte tese a richiamare l’asse fra i due Paesi amici. A partire dalla regolamentazione dell’intelligenza artificiale che per Meloni «può creare ingerenze nelle elezioni e spazzare potenzialmente le classi medie» e che Kishida mise al centro del summit di Hiroshima, perno che l’Italia ha ripreso. Fino alla visione, condivisa, della guerra in Ucraina, su cui Meloni ha voluto spazzare dubbi dicendo al giornale nipponico che il sostegno dell’Italia a Kiev rimarrà «incrollabile», e ora della tutela dei commerci nel Mar Rosso.
Così come condivisa è una certa linea securitaria davanti ai fenomeni migratori, sui quali Meloni rivendica una svolta culturale progressivamente diffusa in Europa. Rapporti di vicinanza che si sono tradotti nel 2023 nell’aumento del 10% dell’interscambio commerciale, giunto a 15 miliardi di euro. Tutti segnali di quel dialogo fecondo che pare trainato, comunque, dagli aspetti della Difesa: oltre al già noto impegno per sviluppare (assieme a Londra) un caccia di sesta generazione, Kishida e Meloni hanno sottolineato il rafforzamento delle esercitazioni congiunte: ad agosto sono attesi gli F35 italiani, poi arriveranno la portaerei Cavour, la nave Vespucci e tanti altri mezzi.
In intensificazione sono anche collaborazioni nell’aerospazio e nel cinema, mentre ad aprile entrerà in vigore l’accordo sulla sicurezza sociale per evitare la doppia imposizione sui lavoratori. Una vicinanza a 360 gradi, quella col lib-dem Kishida, che Meloni ha rivendicato anche nell’intervista, affermando che il Giappone è un modello per un’Europa chiamata a diventare «un gigante politico più che burocratico», pronto a «raccogliere sfide che richiedono unità lasciando invece ai governi nazionali quelle politiche che possono essere implementate dalle istituzioni più vicine ai cittadini».
E qui il cerchio si chiude tornando all’importanza della difesa militare: Meloni, partendo dalla considerazione che nella Nato serve anche una «colonna europea» accanto a quella Usa, contesta una visione solo economica delle spese militari e rimprovera ai Paesi Ue di «non essere stati abbastanza concentrati, perché la verità è che la capacità di difendersi è anche capacità d’incidere nelle scelte che contano, invece in questo campo sono stati fatti passi troppo lenti».