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Gli scienziati la chiamano già "la crisi globale dei coralli", e l'allarme lanciato dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l'ente americano che vigila sullo stato di salute degli oceani, in queste ore sta facendo il giro del mondo, sollevando la preoccupazione di biologi e climatologi. La metà delle barriere coralline del Pianeta si starebbero infatti preparando a perdere per sempre il proprio colore e a tingersi completamente di bianco.
Per quale ragione? Per colpa del surriscaldamento dei mari, dovuto al cambiamento climatico che con violenza, per molti addirittura inspiegabile, sta interessando la Terra. E non si tratta, ovviamente, solo di un problema estetico: i candidi coralli, che potrebbero persino apparire affascinanti nel loro nuovo, inedito, aspetto, in realtà mutano colore per lo stress termico a cui sono sottoposti. A un'osservazione minuziosa, inoltre, risultano malati e sofferenti, diventando così molto più vulnerabili agli agenti patogeni esterni: una circostanza che potrebbe irrimediabilmente minare la salute dell'ecosistema marino che da essi dipende, in una misura stimata attorno al 25% del totale, a cominciare dai pesci. Insomma, il fenomeno segnerebbe l'inizio della drammatica emergenza a cui i nostri mari sarebbero destinati nel prossimo decennio, dopo quella già tangibile alle latitudini polari con lo scioglimento dei ghiacci.
Non è la prima volta che si assiste allo sbiancamento dei coralli. Due crisi si erano registrate già nel 1998 e nel 2014, quando in alcune zone circoscritte degli oceani si erano registrate temperature anomale dell'acqua. L'epidemia s'era fermata. Poi l'anno scorso i primi segnali di allarme sono arrivati dai Caraibi, dove negli ultimi due decenni il mare si è scaldato mediamente di 0,18°C ogni anno: l'acqua al largo della Florida l'estate scorsa bolliva, letteralmente, con picchi inimmaginabili di 38 gradi e le barriere hanno ricominciato a sbiancarsi.
Stavolta le correnti si sono però propagate, in un inarrestabile contagio a catena, ed ecco il virus diffondersi alla Grande barriera australiana, alle coste della Tanzania, alle Mauritius, al Brasile fino al Mar Rosso e al Golfo persico, con imbiancamenti improvvisi ed estesi denunciati a febbraio dai pescatori del Madagascar e delle Comore: un effetto domino che secondo le stime dei ricercatori potrebbe, appunto, arrivare a colpire la metà dei coralli presenti nei nostri oceani. Di qui la previsione di una imminente crisi globale, la più grande a cui si sia assistito finora.
Secondo il Copernicus Climate Change Service (C3S) lo scorso agosto la temperatura media della superficie degli oceani di tutto il mondo ha raggiunto il livello più alto di sempre, toccando i 20,96°C (il precedente record, di 20,95°C, risaliva al 2016). I coralli possono resistere al massimo due mesi a un aumento di temperatura di 1 grado oltre il limite termico dell'acqua, collasserebbero invece in appena un mese se la temperatura salisse di 2 gradi. Naturalmente è la parte più superficiale delle barriere ad essere a rischio, gli scienziati stimano che a 30 o 40 metri sott'acqua l'effetto sia fortemente mitigato.
Ma il fenomeno è praticamente irreversibile: servirebbero molti anni, e un drastico ritorno alla normalità climatica, per vedere i coralli tornare in stato di salute e al loro colore. Ciò che purtroppo tutte le previsioni sul futuro del Pianeta escludono.