Tra i boschi della Pennsylvania - ©Flint Zeigler
Ha pedalato coast to coast negli Stati Uniti, in bicicletta dall’Atlantico al Pacifico. Quasi 5.500 chilometri in poco più di un mese, attraverso i boschi della Pennsylvania, i deserti del Nevada, i picchi innevati delle Montagne rocciose a oltre 4 mila metri. Con temperature tra i 42 e i 5 gradi. Fino a veder spuntare in lontananza i piloni rossi del Golden Gate, il ponte di San Francisco. L’arrivo, pochi giorni fa.
Un’impresa straordinaria, portata a termine da un uomo assolutamente normale. Nessun record, niente da registrare nel Guiness dei primati. Perché Luca Regini non è uno sportivo professionista, né un atleta da sport estremi. Ha 64 anni, è un giornalista sportivo di Ancora, del Corriere Adriatico, in pensione da due anni, con una vecchia passione per le lunghe distanze. Prima a piedi - sette maratone e due volte la "100 chilometri del Passatore" da Firenze a Faenza. Poi la bicicletta. «Non sono uno che guarda il cronometro, la gara è sempre stata con me stesso, la vittoria è riuscire a fare la corsa», spiega da San Francisco, dove è stato raggiunto il 15 luglio, all’arrivo del viaggio, dalla moglie e dalla figlia. Uno sportivo puro, nel senso “decoubertiniano” del termine, che ha finalmente coronato un sogno su cui rimuginava da quasi 10 anni.
L'arrivo al Golden Gate di San Francisco - ©Flint Zeigler
«L’idea di attraversare gli Usa in bici – racconta - mi venne una sera in redazione, era il 2015, mentre aspettavo di chiudere la pagina con i risultati di una partita. Se la salute mi assiste, pensai, ci posso provare. Due anni dopo progettai di regalarmelo per i miei 60 anni. Ma nel 2020, un giorno che stavo facendo una tappa lunga di allenamento, dalla televisione in un bar sentii dei primi morti per Covid». Salta anche il 2020, e anche l’anno dopo è sempre di pandemia. «Nel 2022 mi dissi che l’avrei fatto nel primo anno del mio prepensionamento. E nel 2023 sono partito». Ma il primo tentativo fallisce dopo pochi giorni, come vedremo, per colpa di una automobilista distratta.
Quest’anno è filato tutto liscio. Anche se non è stata certo una pedalata di relax. Basta scorrere i numeri dell’impresa: 5.470 chilometri in 37 tappe, 41 giorni compresi i giorni di riposo. In tutto circa 260 ore in sella, con una media di 7 ore per tappa. Tutte le salite affrontate sono stati oltre 40 mila metri di dislivello. Il punto più alto sul Mount Blue Sky, Montagne Rocciose, a 4.310 metri sul livello del mare. Gli stati attraversati da Est a Ovest sono stati Pennsylvania, West Virginia, Ohio, Idaho, Illinois, Missouri, Kansas, Colorado, Utah, Nevada, California. Luca Regini ha coronato il suo american dream, dimostrando a se stesso e agli altri che anche i traguardi apparentemente irraggiungibili, se affrontati con tenacia e passione, sono spesso più a portata di mano di quanto si creda.
Partenza prima dell'alba in Nevada per sfuggire al caldo del deserto - ©Flint Zeigler
A essere pignoli la partenza il 5 giugno di quest’anno non è stata da uno stato costiero sull’Atlantico. O meglio, quelle prime tappe Luca Regini le aveva già fatte. Il primo tentativo di coast to coast, quella volta in solitaria, era cominciato appunto nel 2023, con partenza dal New Jersey, la cittadina atlantica dove negli anni '70 esordisce sui palchi dei club il “boss” Bruce Springsteen - Luca Regini è uno springstiniano di vecchia data. Al sesto giorno in Ohio però un’auto lo urta, scaraventandolo a terra. Una brutta frattura del braccio. L’impresa si interrompe in modo letteralmente traumatico: ricovero, intervento chirurgico e il ciclo-giornalista torna a casa. Col braccio al collo e il morale sotto i tacchi. Ad aiutarlo in quei giorni si era prodigato Flint Zeigler, 45 anni, ex cantautore, anche lui appassionato di bici, che aveva ospitato Luca a casa in Pennsylvania in una delle prime tappe, in quanto membro della comunità social Warm showers (docce calde), una rete di “amici dei ciclisti” che offrono gratis ospitalità - e spesso la cena - ai pedalatori di passaggio. Flint aveva recuperato la bici danneggiata, facendosi 800 chilometri tra andata e ritorno, l'aveva riparata e presa in custodia quando Luca era frettolosamente ripartito per l’Italia ingessato.
Luca non demorde. Quest’anno decide di riprovarci e chiama Flint per chiedergli se gli va di fare un pezzo di strada assieme. Flint risponde entusiasticamente: condividerà tutta l’impresa. Il ciclista dilettante americano ha già fatto con la figlia la traversata da Nord a Sud, Canada-Messico. «Flint ha vent’anni meno di me – racconta Luca - ed è uno che pedala forte. Ma ha scelto di stare sempre dietro di me, perché così ero io che facevo l’andatura. E poi, io ne sono convinto, perché mi ha lasciato scoprire paesaggi e panorami. È stato davvero un angelo custode. E dire che abbiamo deciso di condividere quest’avventura che quasi non ci conoscevamo. Poteva finire che litigavamo dopo tre giorni. Invece è nata una bella amicizia. Il prossimo anno con moglie e figlia verrà in Italia a trovarci».
Luca e Flint al Mount Blue Sky, 4.300 metri di altitudine - ©Flint Zeigler
Alla fine dell'impresa Flint Zeigler su Istagram ha salutato così l'amico italiano: «Grazie Luca per avermi invitato a partecipare al tuo viaggio. Ammiro molto il tuo impegno, la tua grinta e il tuo coraggio. In un mondo pieno di paure e divisioni, spero che più persone seguano il tuo esempio, che siano sempre affamate di imparare e di crescere, che si spingano in avanti e si pongano obiettivi elevati, che siano spinte a raggiungerli e che si impegnino a fondo per realizzarli. Luca, sei davvero un'ispirazione incredibile».
I momenti duri, in oltre 5 mila chilometri sulla sella, non sono mancati. Forature a parte, risolte on the road in pochi minuti, il principale ostacolo in molte tappe è stato il caldo soffocante. «Non tanto nelle zone desertiche di Utah e Nevada - dice il pedalatore delle Marche - perché lo sapevamo e ci alzavamo alle 4 per partire prima dell’alba e poterci fermare verso le 11. Invece in Missouri, Kansas e Illinois abbiamo trovato giornate bollenti impreviste. E in quelle aree, sconfinate e disabitate, puoi pedalare ore senza trovare né un albero né una tettoia per fermarti all’ombra a riprendere fiato». Prima dei paesaggi desertici aspri e rossi, a riempire gli occhi e il cuore del ciclista erano stati i boschi infiniti della Pennsylvania, tra i monti Appalachi. Piste ciclabili di centinaia di chilometri realizzate sui tracciati di ferrovie dismesse. E poi i bisonti, il cervo che ha corso con i ciclisti, il serpente a sonagli come in un film western.
Tra i monti Appalachi - ©Flint Zeigler
Nei momenti di difficoltà non sono mancati piccoli, sorprendenti gesti di solidarietà: «Come in Kansas. Ci eravamo fermati in un piccolo centro abitato a cercare acqua. La fontanella era secca. Il bar era chiuso. Uno tipo ci ha notato, è andato a casa ed è tornato regalandoci due bottiglie fresche di minerale. Ed è successo anche un'altra volta».
Ma come si fa ad attraversare un continente senza essere un professionista, senza un team di supporto, senza sponsor? Luca, uomo normale che fa cose straordinarie, sorride e si schernisce: «Se a un’idea ci lavori, se gli stai dietro, puoi riuscire a fare cose apparentemente più grandi di te, ma che in realtà non lo sono. Puoi farcela a uscire dalla tua confort zone per allargare i tuoi confini e i tuoi orizzonti»
Manutenzione alla Bianchi del 2000 - ©Flint Zeigler
Viaggiare pedalando offre un punto di vista completamente diverso. Lento e vicino. «Abbiamo attraversato l’America profonda, rurale. Vista dal basso, da una bici, è un paese dagli spazi infiniti, abitato da gente generalmente buona e accogliente. C’è stato anche qualche automobilista che ci ha mandato a quel paese, ma sicuramente meno che in Italia», dice ridendo. L’allenamento prima della traversata c’è stato, ovviamente: «Negli ultimi tempi in Italia uscivo due o tre volte a settimana. Ma l’allenamento vero lo fai in corsa. È stato quello della prima settimana di viaggio, quando ho perso quattro chili. Poi mi sono stabilizzato e da allora ho faticato di meno».
A lavorare più delle gambe, del cuore e dei polmoni - forse - è stata la testa. Non solo per la tenuta mentale nei momenti di fatica. «Abbiamo viaggiato in coppia - racconta Luca Regini - ma di fatto quando pedali stai solo per ore e hai tanto tempo per riflettere. E ho pensato alle persone della mia vita che non ci sono più, e che in quelle miglia sono state con me. È stato un bel modo per ricordarle. Ed è stato un modo per onorare il dono della vita, ringraziare per la fortuna della salute che ancora si prolunga. Ed è giusto sfruttarla in pieno». Magari per un'altra impresa.
I paesaggi sconfinati degli stati centrali - ©Flint Zeigler