La diocesi di Monreale al fianco di Addiopizzo per ribadire dai pulpiti delle chiese e dai sagrati che è possibile voltare le spalle alle estorsioni e scegliere la strada della legalità. La lotta al racket arriva in provincia, in quei paesi che da decenni associano il loro nome al predominio di Cosa nostra. Per quattro giorni un’invasione pacifica di giovani, rappresentanti delle istituzioni, commercianti e imprenditori sta invadendo Bagheria, Monreale, San Giuseppe Jato, coinvolgendo cittadini, operatori economici, istituzioni civili, militari e religiose. Proprio quando arriva la notizia di un arresto da parte della Direzione investigativa antimafia di Palermo, dopo la denuncia del titolare di una casa di riposo nella provincia vessato dalle richieste di denaro da parte di un estorsore e sostenuto nel suo percorso proprio dall’associazione Addiopizzo. «Un cammino difficile, che trova il suo tanto atteso epilogo di liberazione nella nuova e importante stagione che stanno attraversando molti operatori economici della provincia di Palermo» sottolinea Daniele Marannano, presidente di Addiopizzo. E questa mattina sarà il Palazzo arcivescovile di Monreale a ospitare la tavola rotonda su mafia e antimafia, con la partecipazione di Santi Giuffrè, commissario nazionale antiracket, affiancato dal pm palermitano Francesco Del Bene, dal giornalista Lirio Abbate e da Ugo Forello di Addiopizzo. Mentre nel pomeriggio, alla Casa del Fanciullo di San Giuseppe Jato, l’arcivescovo di Monreale monsignor Michele Pennisi, assieme al presidente del Senato, Pietro Grasso, e al procuratore capo facente funzioni di Palermo, Leonardo Agueci, parteciperà alla visione del film 'La mafia uccide solo d’estate' e domani mattina celebrerà la messa nel Duomo di Monreale, al termine della quale, nella piazza antistante, verranno distribuiti dei volantini informativi delle attività antiracket. Un invito a scendere in campo direttamente che monsignor Pennisi ha accolto con entusiasmo. Nella diocesi di cui è pastore ricadono paesi come Corleone e San Giuseppe Jato, profondamente intrisi della subcultura mafiosa, da cui sono venuti fuori capimafia come Totò Riina e Bernardo Provenzano, ma anche segnali di profondo cambiamento ed esempi di santità. «La Chiesa non è silente, non è indifferente – afferma monsignor Pennisi –. Compito della Chiesa è sia aiutare a prendere consapevolezza che tutti, anche i cristiani, alimentiamo l’humus dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell’attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo, capace di creare una cultura antimafia fondata sulla consapevolezza che il bene comune è frutto dell’apporto responsabile di tutti e di ciascuno. La lotta alla mafia passa, anche se non si esaurisce, attraverso un rinnovato impegno educativo e pastorale che porti ad un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti, ad una profonda 'conversione' personale e comunitaria».