Il bisnonno di Emilio sapeva che se suonavano a distesa tutte e cinque il morto era una persona importante e bisognava mettersi la
muda, l’abito della festa, e correre in chiesa perché a un funerale di prima classe non doveva mancare nessuno. Il nonno di Emilio coltivava la Barbera e, allorquando il campanone lanciava quel suo grido cupo e solenne nel bel mezzo di un pomeriggio d’estate, correva in vigna a dare il verderame. Oggi, se si profila un attacco di peronospera il servizio fitosanitario della Regione manda un sms, eppure le campane fanno ancora parte della vita di Emilio, il quale ha 23 anni, è un provetto pasticcere e dichiara: «sono diventato campanaro per curiosità e continuo a farlo per passione». Emilio Gallina è l’anima della neonata Associazione dei campanari, una delle poche in Piemonte. Nei giorni scorsi ha aperto a Mombaruzzo una scuola che insegna la
baudetta, la tecnica ambrosiana che utilizza la tastiera per comandare i rintocchi. «Ma a Romano di Lombardia se la chiami baudetta non ti capisce nessuno, perché da noi si chiama
allegrezza: il gergo, così come il modo di suonare, cambiano da paese a paese » precisa il bergamasco Mattia Cassinelli e ti ricorda che vivi in un Paese in cui, non tanto tempo fa, il prestigio di una comunità si misurava con l’altezza del campanile e il numero delle sue campane. «Anche noi siamo affezionati al nostro campanile ma andiamo a suonare in quelli degli altri, perché non ha senso - precisa - creare un gruppo di campanari per suonare solo nella propria parrocchia…». Mattia ha appena compiuto 18 anni ma è lui che sta formando i 'colleghi' piemontesi.
La loro è la storia di migliaia di persone che si sono avvicinate all’arte campanaria per passione: nessun campanaro viene retribuito e la quasi totalità degli impianti è automatizzato. Stiamo parlando dunque di un 'esercito' invisibile, che, secondo i calcoli della Federazione nazionale suonatori di campane conta almeno 3.500 effettivi; invisibile perché sono studenti, bancari o pensionati che trascorrono le loro giornate a studiare antiche suonate, a pulire le celle campanarie dai residui dei piccioni e dalle muffe, a interrogare anziani sacrestani dai ricordi sfuocati.
La passione per le campane avvicina alla Chiesa (e viceversa) ma anche alla riscoperta delle tradizioni locali: l’associazione monferrina nasce per animare le cerimonie religiose e le feste popolari e si incarica di 'salvare' i campanili pericolanti. Un volontariato che impegna testa e muscoli: in Piemonte le campane si suonano a mano, il che significa inerpicarsi su incerte scale a pioli fino alla cella, 'liberare' gli strumenti dall’impianto elettrico che li 'imprigiona' e farli oscillare al ritmo impartito dal caposquadra. Taluni usano la tastiera collegata ai battacchi; in tal caso, ogni campana viene preventivamente immobilizzata.
Ci vuole qualche settimana per imparare - non c’è spartito e comunque il vero campanaro suona a orecchio... - e occorre l’attitudine a operare ai quattro venti e in condizioni di sicurezza discutibili: a seconda del sistema di suono (manuale, a corda, a tastiera...), insieme alle campane può oscillare anche il campanile. Poche le donne: una di loro però, la veronese Eles Belfontali, guida la federazione. I giovani non sono dei novelli Quasimodo, ma ragazzoni alla moda, con una fidanzata e un lavoro, oppure energici padri di famiglia come Marco Bellati, meccanico e agricoltore. L’ambiente è tradizionalmente quello religioso, non ci sono steccati confessionali ma questa è gente che non dissimula la propria fede: «I miei amici non si sono rassegnati all’idea che mi possa piacere fare il campanaro e passare il tempo in parrocchia - sottolinea il ventenne Ivan Parodi - ma io non ci vedo nulla di strano: le campane sono un hobby sano e frequentare la Chiesa fa sentire bene». Se parli con questi ragazzi di calcio o di ragazze - da evitare l’argomento musicale se non si è aggiornati sulla dubstep - capisci che a distinguerli dai 'normali' ventenni non sono gusti e abitudini ma la propensione personale a superare limiti e stereotipi imposti alla loro generazione. Sono nativi digitali con il gusto della matericità, della fatica fisica, della compagnia e della tradizione. La loro musica nasce da un gesto di rottura, altrettanto invisibile: nel giorno della festa, lassù, in cima al 'loro' campanile, mentre tutto il paese, in basso, sul sagrato, punta gli smartphone verso di loro per registrare il concerto, Emilio e i suoi amici scollegano l’impianto automatico, staccano spine e inibiscono circuiti... quasi senza rendersene conto, cancellano duecento anni di 'progresso' tecnologico che ha conquistato anche i parroci e, con un gesto che ha il sapore della rivolta luddista, agguantano campane che pesano quintali per portarle a bicchiere, cioè con la bocca rivolta verso il cielo. Il peso del bronzo fa il resto. «La nostra è una rivoluzione pacifica - commenta Bellati - e tanto, ma tanto monferrina. Ogni esibizione, infatti, si conclude con la ribota… ». È la festa contadina a base di pane, salame e vino Moscato.