martedì 23 agosto 2011
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La volontà con cui la maggioranza cerca stavolta di aggredire il moloch della previdenza è facilmente spie­gabile scavando nei dati. In primo luogo i risparmi ottenibili: la relazione tecnica al­la manovra-bis indica, alla voce aumento dell’età per le lavoratrici del settore priva­to, un importo modesto - 112 milioni di ri­sparmio - nel 2017, destinato tuttavia a sa­lire rapidamente, a ben 1,2 miliardi, già nel 2020 (cifre che, peraltro, si sommano in parte ai risparmi del decreto di luglio, quando l’aumento dell’età era previsto so­lo dal 2020, mentre ora partirà dal 2016). Un miliardo quindi che, anticipando la partenza al 2012, si avrebbe 'pronto cas­sa' già dal 2016. La vera partita (e, di conseguenza, i veri ri­sparmi) si gioca però sui trattamenti d’an­zianità, strenuamente difesi da Umberto Bossi. E anche questo si spiega facilmente coi numeri. Nel 2010, stando all’ultimo rap­porto annuale dell’Inps, le uscite di anzia­nità liquidate nell’anno avevano superato quelle concesse a chi aveva diritto alla nor­male pensione di vecchiaia: erano 174.729 le prime - con un’età media ancora di 58,3 anni fra i dipendenti - contro 173.575. Un sorpasso che si giustificava anche con il parziale blocco delle anzianità avuto nel 2009, ma che segnala comunque l’ingente mole di questo fenomeno 'molto' italiano. Secondo stime ufficiose, con un interven­to drastico sui trattamenti anzianità si po­trebbe ricavare subito più di 2 miliardi di euro all’anno, cioè in 12 mesi la metà di quanto si otterrà in 3 anni dalla super-tas­sa. Il fenomeno, d’altronde, è vasto e radi­cato. Tanto che una pensione anticipata Bossi se la ritrova perfino in casa: è quella della seconda moglie, la siciliana d’origine Manuela Marrone, che dal 1993, quando aveva nemmeno 40 anni, prende un asse­gno di 766,37 euro al mese dopo aver fatto l’insegnante. È l’esercito dei pensionati­baby che, a seconda delle stime, oscilla fra le 495 e le 535mila unità: tutte persone che, senza avere i capelli bianchi, percepiscono da anni una pensione e che costano allo Stato circa 9,5 miliardi l’anno. La maggior parte, ovviamente, militavano nel pubbli­co impiego (l’Inpdap paga tuttora oltre 428mila pensioni concesse sotto i 50 anni d’età), dove fino agli anni Ottanta, nell’era del pentapartito e del consociativismo al­largato al Pci, si ricordavano numerosi ca­si di trentenni che lasciavano già il lavoro. Anche l’Inps, tuttavia, vanta 106.905 asse­gni liquidati a italiani con meno di 50 an­ni. Ancora oggi, stando al casellario cen­trale, l’età media di questi pensionati- baby si aggira fra 63,2 anni (per chi ha lasciato il lavoro a 35-39 anni) e i 67 (per chi se n’è an­dato a 45-49). E, perciò, hanno ancora da­vanti lunghi anni nei quali lo Stato dovrà pagare loro la pensione. Per questo, essendo difficile toccare i dirit­ti già acquisiti (anche se nei giorni scorsi sul Corsera è circolata l’idea di un vero 'con­tributo di solidarietà' da far pagare a que­sti mini-pensionati), la modifica su cui più ci si sta esercitando - al di là della frenata giunta ieri dal ministro Sacconi - riguarda un’accelerazione del sistema delle quote: facendo partire quella 97 (36 anni di con­tributi + 61 d’età o 35+62) già dal 2012 si potrebbero risparmiare 400 milioni il pri­mo anno, ma già 1,3 miliardi nel 2013. L’in­tervento più equo sarebbe però quello pro­posto dall’esperta Elsa Fornero: un aggior­namento della 'riforma Dini' del 95, con un pensionamento flessibile fra 63 e 68 an­ni e un’estensione del calcolo dell’assegno col sistema contributivo pro-rata.
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