sabato 9 novembre 2024
L'ex senatore: l’obiettivo è una costituente degli amministratori, ma non sarà né un micropartito né una corrente. A fine gennaio il primo evento. Tappe di preparazione a Roma, Milano e Napoli
Francesco Russo

Francesco Russo

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A Trieste, durante la Settimana sociale di luglio, quasi 100 amministratori locali formatisi nelle associazioni e nei movimenti cattolici si sono autoconvocati chiedendo di camminare insieme a prescindere dalle appartenenze partitiche e civiche. Francesco Russo, ex senatore e attuale vicepresidente del Consiglio del Friuli Venezia Giulia, ha aperto agli amministratori le porte del parlamentino regionale e da quel momento è diventato il referente naturale di una “rete” che, dopo una fase di elaborazione, è pronta a muovere i primi passi ufficiali. Una rete sulla quale è possibile informarsi scrivendo a reteditrieste@gmail.com.

Cosa è successo a luglio e perché ha acceso tante aspettative?

Quella iniziativa, che monsignor Renna ha definito una vera e propria «sorpresa dello spirito», è potuta emergere grazie al percorso preparatorio della Settimana Sociale, innovativo e coraggioso, e al clima di speranza che si è creato fra i mille e più delegati presenti a Trieste. In particolare noi amministratori siamo stati piacevolmente sorpresi dal sentir affermare che «bisogna superare la retorica del prepolitico». E ci siamo sentiti confortati da papa Francesco che ancora una volta ha chiamato «a questa carità politica tutta la comunità cristiana», seppur «nella distinzione dei ministeri e dei carismi». Da quel momento è come se si fosse rotto un argine, e da poche decine oggi ci ritroviamo a dialogare già fra qualche centinaio di amministratori. L’esigenza più sentita, ce lo dicono in tanti, è quella di sentirsi meno soli e meno scollegati dalle nostre comunità nell’impegno quotidiano in prima linea.

Quali obiettivi e quali potenzialità potrebbe avere una vera e propria “rete”?

Vogliamo creare un luogo aperto, libero e trasversale in cui discutere di progetti superando gli steccati di coalizioni artificiali e di polarizzazioni forzate che, come è sotto gli occhi di tutti, non fanno bene alla politica e spesso impediscono ai cattolici perfino di dialogare fra loro. Voglio sgombrare il campo da ogni equivoco: la “rete di Trieste” non nasce con l’obiettivo di creare un nuovo micro partito o di animare correnti interne a quelli esistenti, ma vuole rendere evidente quanto decisivo sia ancora oggi il contributo dei cattolici e della Dottrina Sociale alla vita del Paese, ricordando che senza Sturzo, De Gasperi e Moro la storia politica italiana non sarebbe neppure immaginabile.

Come fare?

Ripartendo dalle persone e dalle comunità. Testimoniando un nuovo stile di politica che - come accadde dopo la “Rerum Novarum” - offra risposte capaci di migliorare la vita di chi ha meno. Allora si realizzarono scuole, ospedali, il frantoio, il mulino, orfanotrofi, cooperative, società di mutuo soccorso, forgiando la nuova classe dirigente “popolare”, riconosciuta e apprezzata perché capace di migliorare la vita della propria comunità. Sono pronto a scommettere, e lo scopriremo nelle prossime settimane, che nella maggioranza degli 8.000 comuni italiani c’è almeno un consigliere comunale che ha visto nascere la propria vocazione di servizio alla “città dell’uomo” in qualche percorso ecclesiale. Nelle prossime settimane cercheremo di raggiungerli e di invitarli a lavorare insieme.

Quali sono i prossimi passi?

Abbiamo previsto un primo grande incontro nazionale a Roma nell’ultimo weekend di gennaio. Vorremmo fosse qualcosa di più del solito convegno, seppure auspicabilmente molto partecipato. L’obiettivo è quello di una vera e propria “costituente degli amministratori cattolici“ che, riprendendo lo stile della Settimana sociale, nasca da un percorso partecipato e produca un reale confronto sui temi, con una metodologia che parta dal basso e che faccia sentire tutti i protagonisti. Anche per questo abbiamo pensato a tre eventi preparatori che si terranno, tra novembre e dicembre, a Milano, Roma e Napoli.

Le associazioni e i movimenti che ruolo possono avere rispetto alla rete?

Un ruolo decisivo. Sono i luoghi in cui tanti di noi hanno maturato il senso del loro impegno e da cui speriamo possa continuare un accompagnamento ideale, culturale e spirituale. Insieme a loro e a chi in questi anni ha svolto un lavoro di ricerca e proposta nel campo sociale vogliamo anche vincere la sfida di rinnovati percorsi di formazione. In un tempo in cui quasi più nessuno spende il suo tempo per suscitare nuove vocazioni alla politica i cattolici devono far riscoprire la bellezza di un impegno gratuito e qualificato per il bene comune chiedendo ai migliori talenti del nostro Paese di tornare a spendersi generosamente.

Da quali contenuti si parte?

Intanto va vinta la sfida della partecipazione. Una democrazia in cui vota il 40% e scompaiono i corpi intermedi e la comunicazione è pesantemente condizionata, è già sostanzialmente una democratura. Come cattolici saremo utili solo se appariremo credibili nel rinnovare gli attrezzi della democrazia. A Trieste poi abbiamo già sottoscritto un documento in cui abbiamo deciso di costruire una piattaforma condivisa su giustizia sociale e innovazione del welfare territoriale, sostenibilità ambientale, centralità delle famiglie e della scuola, accoglienza e integrazione. Se sapremo farlo, l’ambizione successiva è quella di riuscire a presentare in contemporanea in 100 capoluoghi di provincia e in 20 Regioni - e poi a cascata in tutti i territori del nostro Paese - una mozione trasversale agli schieramenti politici che orienti il lavoro delle nostre amministrazioni.

Un modo per far emergere il contributo di tanti politici credenti che oggi si fa fatica a vedere…

Che avrà successo, però, solo se sapremo dimostrare di saper stare, con gratuità e sobrietà, in cammino con le donne e gli uomini del nostro tempo, non come una lobby o una corrente, senza privilegi o posizioni di rendita da difendere. Come ci ha detto il Papa a Trieste, deve essere chiaro che i cattolici non chiedono di occupare spazi, ma vogliono dare avvio a nuovi processi, dimostrando che abbiamo qualcosa da dire, capaci di denuncia e di proposta anche a nome dei troppi che non hanno voce.

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