lunedì 13 marzo 2023
Fino al 14 aprile a Venezia le foto di Laura Salvinelli. La struttura - creata da Gino Strada 24 anni fa - ha fatto nascere 76 mila bimbi e specializzato infermiere e dottoresse nel paese dei talebani
Neonatologia, sala osservazione. Quando è stato costruito il Centro di maternità di Anabah, molte famiglie non volevano permettere alle mogli e alle figlie di lavorarci, a causa della presenza dello staff internazionale e del presunto rischio di «corruzione morale» ad esso collegato. C'è voluto del tempo perché la gente dei villaggi cambiasse idea.

Neonatologia, sala osservazione. Quando è stato costruito il Centro di maternità di Anabah, molte famiglie non volevano permettere alle mogli e alle figlie di lavorarci, a causa della presenza dello staff internazionale e del presunto rischio di «corruzione morale» ad esso collegato. C'è voluto del tempo perché la gente dei villaggi cambiasse idea. - Foto di Laura Salvinelli

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Donne afghane che hanno potuto realizzare il loro sogno. Quello di diventare mamme senza rischiare la vita, loro e dei figli. Ma anche quello di diventare dottoresse e infermiere, nel paese in cui ormai possono studiare solo i maschi. È un racconto per immagini sull'essere donne e madri in un paese problematico come l’Afghanistan quello ospitato, fino al 14 aprile, nella sede di Emergency a Venezia (Giudecca 212), in cui la fotografa Laura Salvinelli fa parlare i volti delle donne del Centro di maternità della ong in Panshir fondata dal chirurgo Gino Strada.

Zarghona, 20 anni, è felicissima perché il suo primo figlio è maschio. Vive a Ghurband, sotto il controllo talebano. Il figlio si chiama Mustafa, nome deciso come da tradizione da suo marito. Non è mai andata a scuola. Il suo matrimonio è stato organizzato dai genitori.

Zarghona, 20 anni, è felicissima perché il suo primo figlio è maschio. Vive a Ghurband, sotto il controllo talebano. Il figlio si chiama Mustafa, nome deciso come da tradizione da suo marito. Non è mai andata a scuola. Il suo matrimonio è stato organizzato dai genitori. - Foto di Laura Salvinelli (particolare)

La mostra, intitolata “Afghana”, racconta la storia delle dottoresse, delle infermiere e delle pazienti che hanno partorito nel centro di Emergency dedicato alla maternità. Nel viaggio fotografico si incontra il viso sorridente di Zarghona che ha dato alla luce il primo figlio maschio, di Kemeya alle prese con il suo quinto cesareo, delle donne nomadi Kuchi durante uno dei loro passaggi stagionali nella Valle. E ancora Asuda che, grazie al Centro di maternità di Emergency, ha potuto studiare e formarsi per diventare ostetrica; Marja, che ha iniziato a lavorare in Afghanistan con la Ong nel 1999; Monika e Keren, coordinatrice medica e ginecologa, che esprimono tutta la loro felicità per i tanti bambini che hanno visto nascere.

Al centro Marja, team leader, 40 anni. Marja è stata infermiera nel reparto di terapia intensiva del primo Centro chirurgico per vittime di guerra di Anabah fin dalla sua inaugurazione, nel 1999. Da allora ha sempre lavorato con Emergency

Al centro Marja, team leader, 40 anni. Marja è stata infermiera nel reparto di terapia intensiva del primo Centro chirurgico per vittime di guerra di Anabah fin dalla sua inaugurazione, nel 1999. Da allora ha sempre lavorato con Emergency - Foto di Laura Salvinelli

«Il reportage sul Centro di maternità ad Anabah nella Valle del Panshir è stato per me come un ritorno a "casa" – racconta la fotografa Laura Salvinelli - ‘Casa’ è per me l’Afghanistan, luogo della mia anima e "casa" è l’impegno di Emergency contro la guerra e in difesa dei diritti umani. Ho lavorato in un mondo in cui fotografare le donne è un tabù e mi sono caricata del ruolo dell’elefante in un negozio di cristalli. Mi sono posta in continuazione la domanda di tutti i fotografi: se sia giusto entrare nell’intimità degli altri. Credo che la risposta, sempre diversa, dipenda da perché e da come si fa. L’importante è che quella domanda lavori sempre dentro di noi».

Maternità, sala operatoria, la mc Monika Pernjakovic (destra) e la ginecologa Keren Picucci (sinistra)

Maternità, sala operatoria, la mc Monika Pernjakovic (destra) e la ginecologa Keren Picucci (sinistra) - Foto di Laura Salvinelli

In Afghanistan la mortalità materna è 99 volte più alta di quella registrata in Italia e il tasso di mortalità infantile 47 volte più alto: una donna su 14 muore per complicazioni legate alla gravidanza, un bambino su 18 muore prima di compiere i 5 anni. Ciò anche a causa della difficoltà di accesso alle cure mediche, alle resistenze della famiglia motivate da tabù culturali e religiosi, ai costi e alle distanze. E 40 anni di guerre, il ritorno dei Talebani al governo, la siccità, la svalutazione, il blocco dei circuiti bancari, l’embargo internazionale hanno provocato una situazione di povertà assoluta per milioni di cittadini, ridotti letteralmente alla fame.

Maternità, sala operatoria, parto cesareo della figlia di Vida, 28anni. È il 4° cesareo di Vida.

Maternità, sala operatoria, parto cesareo della figlia di Vida, 28anni. È il 4° cesareo di Vida. - Foto di Laura Salvinelli

«L'Afghanistan è un pezzo importante della storia di Emergency - sottolinea la presidente della Ong Rossella Miccio - ma, dopo 24 anni di lavoro, anche Emergency è diventata parte integrante della storia del Paese. Continuiamo a rimanere nel Paese con tre ospedali chirurgici, un Centro di maternità e 41 posti di primo soccorso. La reputazione di Energency tra la popolazione locale non solo ha garantito sostenibilità alle attività del Centro di maternità - dice Miccio che lavora in Afghanistan dal 1999 - ma anche a dare forma e sostanza a un nuovo ruolo delle operatrici sanitarie nella regione. Questa è la rivoluzione silenziosa delle donne afghane. Oggi le donne che lavorano con noi non sono più semplicemente "eccezioni tollerate" ma stanno diventando velocemente membri rispettati dalle loro comunità, promotrici di cambiamento», conclude la presidente di Emergency.

Asuda, ostetrica, 25 anni, due figli nati nell’ospedale di Anabah, uno di 3 anni e uno di 3 mesi, che sta ancora allattando.

Asuda, ostetrica, 25 anni, due figli nati nell’ospedale di Anabah, uno di 3 anni e uno di 3 mesi, che sta ancora allattando. - Foto di Laura Salvinelli

Mara Rumiz, responsabile dello Sviluppo dei progetti per l'Ong, spiega che «per le donne del Panjshir il Centro di maternità è occasione di emancipazione vera. Soprattutto oggi, con la crisi economica spaventosa che investe l’Afghanistan, spesso l’unico reddito che entra nelle case è quello delle donne che lavorano nell’ospedale. Formazione e lavoro - sottolina Mara Rumiz- sono le leve su cui agire per togliere le donne dall’ombra e dalla sottomissione».

Neonatologia, sala osservazione. Quando è stato costruito il Centro di maternità di Anabah, molte famiglie non volevano permettere alle mogli e alle figlie di lavorarci, a causa della presenza dello staff internazionale e del presunto rischio di «corruzione morale» ad esso collegato. C'è voluto del tempo perché la gente dei villaggi cambiasse idea.

Neonatologia, sala osservazione. Quando è stato costruito il Centro di maternità di Anabah, molte famiglie non volevano permettere alle mogli e alle figlie di lavorarci, a causa della presenza dello staff internazionale e del presunto rischio di «corruzione morale» ad esso collegato. C'è voluto del tempo perché la gente dei villaggi cambiasse idea. - Foto di Laura Salvinelli

Nel 2003, accanto al Centro chirurgico del Panshir nato nel 1999, la Ong italiana ha dunque aperto le porte del Centro di maternità, ancora oggi l'unica struttura specializzata e gratuita della zona che permette alle donne la formazione necessaria per diventare infermiere, ginecologhe, ostetriche e garantisce alla popolazione femminile di partorire in un ospedale sicuro, che diventa sia per le pazienti che per lo staff un luogo dove prendersi cura di loro stesse. Qui sono oltre 7mila i parti effettuati ogni anno: da quando è entrato in funzione, nel giugno 2003, al dicembre del 2022 nel Centro sono stati visitati più di 487mila donne e bambini e sono stati fatti nascere più di 76mila bambini.

La macchina con cui Gino Strada è arrivato in Panjshir nel 1999 - un vecchio fuoristrada Uaz sovietico - per fondare il primo Centro chirurgico per vittime di guerra di Emergency.

La macchina con cui Gino Strada è arrivato in Panjshir nel 1999 - un vecchio fuoristrada Uaz sovietico - per fondare il primo Centro chirurgico per vittime di guerra di Emergency. - Foto di Laura Salvinelli

«Le donne afghane desiderano le nostre stesse cose. Amano il make-up, le acconciature, gli orecchini, i vestiti. Quando mi sono accorta che le guardie facevano lasciare le borsette dei trucchi all'ingresso - racconta Monika Pernjakovic, ex Coordinatrice medica del Centro di maternità - ho messo a disposizione degli armadietti con la chiave, perché potessero depositarle dentro l'ospedale. Nel pomeriggio, quando non si vedono più in giro gli uomini della manutenzione, si tolgono i veli. E studiano, lavorano, si impegnano»

L’ingresso alla mostra è libero con i seguenti orari: dal mercoledì al venerdì, dalle ore 11.00 alle ore 16.00; è possibile concordare altri giorni e orari di visita scrivendo a infovenice@emergency.it


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