venerdì 9 febbraio 2024
Saltato il giudizio Conte-Meloni sul Mes, ora a invocare l'organismo è il presidente della commissione Affari costituzionali al Senato Baldoni, di Fratelli d'Italia. Che cosa sta succedendo
Giuseppe Conte ha invocato per primo il Giurì per dirimere lo scontro con Meloni sul Mes

Giuseppe Conte ha invocato per primo il Giurì per dirimere lo scontro con Meloni sul Mes - Ansa

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Un segno dei tempi, anche questo. Un organismo che sino a poche settimane fa era più formale che altro, poco più di una vecchia lampada poggiata su un comodino, è diventata di colpo l’ipotetico luogo di risoluzione di conflitti politici che, appunto, in quanto politici, hanno margini discrezionali ampissimi. I fatti, innanzitutto. Due nella sola giornata di ieri. Il primo: preso atto delle dimissioni di due membri di opposizione, il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha sciolto il Giurì che doveva decidere chi ha ragione tra Giorgia Meloni e Giuseppe Conte in merito al «sì» italiano al Mes. La premier, alle Camere, alla vigilia di un vertice europeo di fine anno, aveva in sostanza sostenuto che il governo guidato dall’attuale leader M5s avesse firmato il Salva-Stati riformato “col favore delle tenebre”, quando il suo esecutivo era già in disarmo. « Falso, eravamo pienamente in carica», tuonò Conte sostenuto dall’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Le date, in effetti, danno ragione all’ex premier e torto all’attuale inquilina di Palazzo Chigi. La quale, però, non ha mai ritrattato il senso politico (appunto) delle sue dichiarazioni: il Conte II in quel momento non era bene in sella, Renzi già lo stava picconando e Mario Draghi era sull’uscio.

Ci vuole un Giurì per distinguere i due livelli del fatto? Sulle date pochi dubbi, ha ragione Conte. Ma che il governo fosse in fase di logoramento, falso non è. E nel Giurì i membri di maggioranza e opposizione non si sono trasformati in giudici imparziali, hanno mantenuto posizioni di parte (ed era difficile immaginare che andasse diversamente). Ne è seguito, poi, dopo lo scioglimento del Giurì, un duro botta e risposta tra colui che doveva presiedere l’organismo, il forzista Giorgio Mulè, e lo stesso Conte spalleggiato da M5s. « È venuta meno la terzietà», attacca l’ex premier. «Oltraggia l’istituzione del Gran Giurì», replica il presidente del Giurì durante una conferenza stampa convocata ad hoc. «Conte si è portato via il pallone», incalza Mulè ma il presidente M5s è un osso duro e contrattacca: «Voleva solo far vincere Meloni». Resta la domanda di fondo: può la moda dei Giurì decidere sull’«onore» di politici che ogni giorno ingaggiano battaglie al limite tra fatti, interpretazioni e forzature? Non è che il problema è un altro, ovvero la difficoltà crescente a confrontarsi e scontrarsi ma senza perdere il senso del limite? Anche il secondo caso di giornata è simile al primo. Il virus da Giurì d’onore ha coinvolto anche il presidente meloniano della commissione Affari costituzionali al Senato, Alberto Balboni.

Ieri in Aula membri di opposizione della sua commissione lo hanno accusato di aver forzato le procedure sull’avvio dell’esame del premierato. La lite ha coinvolto soprattutto lui e Boccia. «Voglio un Giurì», invoca Balboni. Il presidente di riferimento è Ignazio La Russa che ha tra le doti l’ironia e il prendere tempo quando il clima si scalda. E poi è un avvocato. «La richiesta del Gran Giurì in Senato? Vediamo, non ne abbiamo ancora parlato, magari prima li convoco tutti e due nel mio ufficio, sono specialista in conciliazioni amichevoli...». Chi sa che La Russa non dirà proprio questo, a Balboni e Boccia: «Caro Alberto, tu sei maggioranza e aspettati di essere attaccato. Caro Francesco, tu sei stato maggioranza e sai come funzionano queste cose...».

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